Post

Visualizzazione dei post da 2019

il controllo parte 1

Immagine
D. A. accusò il primo formicolio in vacanza. Era al mare con la moglie e i tre bambini. I bambini giocavano sulla spiaggia e la moglie prendeva il sole sullo sdraio affianco al suo. Lui stava leggendo il quotidiano sportivo come gli piaceva fare in vacanza, non gli interessava molto il mercato estivo, quasi tutte le notizie erano aria fritta. Ma gli piaceva l’idea di avere il tempo per leggere il giornale, un lusso che a casa non poteva permettersi. Erano quasi le undici, una lieve brezza stemperava il sole già caldo. Da sopra il giornale vedeva i ragazzi che si rincorrevano pochi metri più avanti, il mare era sereno, in lontananza una nave da crociera rifletteva i raggi solari. Una lieve fitta all’altezza del cuore fu seguita da una leggera scossa che diffuse uno strano pizzicore. D. si spaventò. Si tirò su in posizione eretta e si mise una mano sul cuore. Il pizzicore si stava trasformando in un diffuso formicolio, ma ora il suo cuore batteva forte per lo spavento.  Non a

lucifero stronzo incompreso finale

Immagine
precedentemente in lucifero stronzo incompreso ATTO TRE C’erano un centinaio di persone, neanche un giornalista. Dopo il flop della prima volta, i media si erano disinteressati all’intera faccenda. Solo pochi fedeli erano rimasti al seguito di Allback. La mancata apparizione del diavolo nel grande incontro del Madison Square Garden di tre settimane prima fu un colpo quasi fatale all’immagine di Allback. La storia di Lamarcus divenne una specie di barzelletta. Lamarcus uscì dal teatro mollando tutti di sasso. Scomparve per due giorni e al suo ritorno disse che bisognava provare di nuovo. Ne era convintissimo.  Ora. Il clima nell’ampio teatro di una tranquilla cittadina di periferia era quasi allegro. Le poche decine di persone arrivate stavano chiacchierando animatamente quando Wattman arrivò. Sul palco i ragazzi stavano facendo gli ultimi preparativi. Wattman aveva perso un po’ di interesse dal grande flop. Aveva cercato di seguire gli avvenimenti il più neutralmente possibil

lucifero stronzo incompreso parte 2

Immagine
precedentemente in lucifero stronzo incompreso ATTO DUE Lamarcus aveva appena finito il suo spettacolo e il pubblico, dopo un paio di secondi di assoluto silenzio, aveva preso a parlare e a dileguarsi verso il bar del locale. Wattman invece si avviò verso il backstage, era riuscito a chiedere un appuntamento all’agente di Lamarcus, tale Timothy Atkinson, che promise che avrebbe potuto parlargli dopo lo show. Il backstage era composto da due stanzini. Wattman entrò in quello con la porta aperta, un divanetto, un tavolo e un armadio a muro erano gli unici pezzi d’arredamento. Lamarcus non era lì e anche l’agente non c’era, Wattman aspettò qualche minuto in piedi a guardare le crepe sulle pareti. Cominciava a temere che nessuno si sarebbe presentato. Si guardò intorno, sul tavolino c’erano una bottiglietta d’acqua e un asciugamano, sul divano invece, una giacca di pelle, una rivista e un quaderno. Sfogliò il quaderno e si soffermò su una pagina a caso: Questo è stato il seco

Voglio scrivere una Storia

Immagine
Voglio scrivere una Storia . Una Storia che parli di me e di te. Del nostro amore. Una Storia che iniziò la sera della vigilia di Natale. Anzi, che per quella sera divenne realtà. Noi eravamo due, non i soliti due troppo lontani, troppo diversi o troppo simili.  Eravamo due e basta. Tu eri tu, con la tua vita, le tue passioni e la tua musica. Io ero io, con la mia vita, le mie passioni e la mia musica. Tu non eri solo, io non ero sola, tu non eri con me, e io non ero con te. Eravamo due, due che si conoscevano, forse poco, che erano vicini, anche troppo, due che parlavano, decisamente poco, con un’età diversa, fin troppo, due che passavano del tempo insieme, non abbastanza. Tu guardavi nei miei occhi, io nei tuoi, e ogni volta mi ci perdevo, quasi come se cercassi disperatamente qualcosa a cui aggrapparmi, senza però trovarla mai. Quella sera però la trovai, perché quella sera fu tutto diverso.  Ci avvicinammo di più, eravamo tanto vicini che mi faceva pa

lucifero stronzo incompreso parte 1

Immagine
ATTO UNO “Io ero in bilico. In bilico tra la santità e la dannazione. In bilico tra il diventare Cristo o l’Anticristo. Tutta la mia vita mi ha spinto fino a questo bivio. Una lunga serie di indizi, segni e infine certezze. Ogni più piccolo avvenimento era teso a questo scopo. C’è molta meno differenza tra i due di quanto possiate immaginare. Ma Dio non mi ha mai chiamato. Ed il mio destino è diventato chiaro. Perché non mi ha mai chiamato? Ero perfetto, quindi perché? Non rientravo nei suoi piani? Non gli piacevo forse? Ma sono perfetto anche così. Io sono l’Anticristo. Io ho tanto sperato di essere santo, davvero. L’ho sempre desiderato con tutto me stesso. Ma accetto il mio destino, accetto il mio compito. È comunque un compito nobile. E non lo sono per voi, lo sono per me. Non sono qui per reclutare nessuno, essere l’Anticristo esige totale egoismo, a mio parere, qualsiasi cosa farò sarà solo per me. Di voi non mi importa nulla. Se mi seguirete sarà solo perché voi vorret

come l'oceano finale

Immagine
precedentemente in come l'oceano Era il 12 settembre 2005, Kiyoshi scese dall’autobus, la fermata era a pochi passi dalla sua destinazione. Il santuario era addobbato con candele e lanterne accese, c’era già una piccola folla che si era raccolta vicino all’ingresso, tra quelle persone Kiyoshi scorse i suoi genitori, erano l’uno accanto all’altra. In quell’istante Kiyoshi si rese conto di non aver mai visto i suoi genitori tenersi per mano, neanche quando erano ancora una famiglia. Con la sensazione di un macigno sul petto, Kiyoshi si avvicinò loro, avevano le facce stanche e spossate, erano stanchi di vivere, stanco l’uno dell’altra, questo li faceva sembrare più vecchi di quel che in realtà fossero. Erano decisamente invecchiati prima del tempo, anche se erano abbastanza vivi per esser morti dentro da anni. Quando Hiroko vide che il figlio si stava avvicinando lo salutò con un ciao sussurrato, quasi fosse capace di emettere ultrasuoni. Non aveva mai smesso di parlare

l'assegnazione finale

Immagine
precedentemente in l'assegnazione “Salve, come posso aiutarla!” disse in maniera quasi entusiastica, già capivo di piacergli. Non era proprio come me l’aspettavo; pochi capelli tagliati corti, occhi furbi ma privi di fascino anche se ogni tanto sembra passarvi qualche strano lampo, corporatura media. Insomma non una persona che colpiva a prima vista, anzi. Direi che l’aspetto era piuttosto dimenticabile. “salve, posso chiedere a lei?” chiesi io, a questo punto non so dire quanto ero io a decidere cosa dire e quanto fosse il nanobot a recitare il copione. “come no, mi dica tutto.” Rispose lui sempre affabilmente. “dovrei cambiare la batteria del mio impianto fonico” risposi con il tono più disinvolto possibile, intanto guardavo gli olo-depliant sul bancone. Quando alzai lo sguardo lo colsi che mi guardava la scollatura. Un brivido attraversò tutta la schiena. Con disinvoltura mi chiese: “bene, metta il polso qui sul lettore per vedere la marca ed il modello del

come l'oceano parte 5

Immagine
precedentemente in come l'oceano Kiyoshi   Kiyoshi aveva solo sei anni quando scelse di diventare adulto. Lo decise nel momento in cui vide sua madre seduta accanto al corpo della sua sorellina senza vita, anche se sembrava che stesse dormendo, solo che la pelle era un po’ più violacea. Si era sempre immaginato la morte più spaventosa, più plateale, non aveva visto nessuno shinigami, eppure sua sorella non era più viva. E adesso cosa sarebbe successo? Come funzionava, e lei dove sarebbe andata? Ci sarebbero dovuti andare anche loro con lei? L’avrebbero semplicemente accompagnata? Ci avrebbero pensato mamma e papà? Lui cosa avrebbe dovuto fare? Non c’era un modo per cambiare quel che era successo? Con chi avrebbe giocato? Con chi avrebbe litigato? Mentre si faceva tutte queste domande la sua attenzione cadde sul volto di sua madre. Era sempre stata una donna molto composta, capace di trattenere la rabbia di celare cosa sentiva, ma in quel corridoio freddo di ospedale s

l'assegnazione parte 1

Immagine
La convocazione mi arrivò esattamente venti soli prima. Non ne fui entusiasta fin dall’inizio. Mi arrivò mentre ero al lavoro, il Centro gestionale mi convocava per un’assegnazione, poteva essere qualsiasi cosa, ma nel mio cuore sapevo che c’entrava con lui. Quasi tutti sono felici di avere a che fare con lui e quando arriva l’assegnazione da parte del centro gestionale tutti sperano che si tratti di una parte importante. Almeno così dicono, tutti voglio mostrarsi devoti. Anche se alla fine il piano del centro gestionale è noto solo ai nostri governanti, tutte le parti che ci installano dentro e che ci chiamano a recitare, per noi non significano assolutamente nulla e solo per loro hanno senso, o almeno così ci piace pensare. Io sinceramente dubito che sappiano esattamente cosa stiano facendo. Credo che vadano a tentativi sperando di aver avuto ragione il giorno in cui lui ricorderà. Ricorderà di come ha creato ogni cosa. Non abbiamo mai avuto idea su come i Governanti abbiano

come l'oceano parte 4

Immagine
precedentemente in come l'oceano Hiroko Hiroko aveva stretto fortissimo la sua piccola nella corsa da casa all’ospedale. Dentro di lei era scattata un’assurda idea; se l’avesse stretta forte la sua Sakurochan sarebbe rimasta con lei e non se ne sarebbe andata per sempre. Il vortice della depressione la risucchiò il giorno stesso, nello stesso istante in cui gli shinigami le avevano portato via la sua bambina. Hiroko, dopo la morte di Sakuro, dedicava tutta la sua giornata a recitare preghiere al fine di incoraggiare lo spirito della figlia a distaccarsi e incamminarsi verso l'aldilà.   Investiva le poche energie che le erano rimaste nell’organizzazione di cerimonie commemorative, non voleva che il reikon, lo spirito di Sakurochan, rimanesse in eterno sulla terra, ma voleva che fosse contento del modo in cui era commemorato, così da consentirgli di riunirsi agli antenati nell'aldilà. Inoltre, credeva che se le cerimonie si sarebbero svolte nel modo appropria

io sono il Sokomonnos

Immagine
C’era una volta un vignettista satirico di nome Puccio Pucci. Puccio Pucci era molto famoso e molto spiritoso, il suo spirito libero e senza compromessi sfornava vignette feroci e sferzanti. Pucci non risparmiava nessuno, in base al suo umore e gradimento sceglieva un obbiettivo della sua satira e ci dava dentro a più non posso, nulla era intoccabile nulla era sacro, ma davvero nulla! Un giorno Puccio Pucci decise che avrebbe satirizzato sugli handicappati.  Sì, sì aveva già in mente un sacco di gag su quegli sfigati! Sarebbe stato un numero fantastico! E chissà le vendite! Sarebbero schizzate in alto! E così fu. Il numero 127 di “Vignettica” che comprendeva una decina di vignette di Pucci sui disabili fece un sacco di scalpore, generò un sacco di polemiche e un sacco di vendite. Chiaramente la categoria dei disabili non ne fu contenta. La lega spastici tentò di protestare ma nessuno ebbe la pazienza di sentire cosa volevano dire (sapete com'è, sono un po’ lenti a parlar

come l'oceano parte 3

Immagine
precedentemente in come l'oceano Amane Amane non era mai stato un uomo capace di esprimere i propri sentimenti, né con una carezza né tantomeno con le parole, o con un semplice sguardo. Allo stesso tempo, era uno di quegli uomini orgogliosi, sarebbe stato pronto a impugnare la katana e tagliare via l’eventuale pericolo. Non aveva messo su famiglia per amore, ma per dovere, doveva portare avanti il nome di famiglia e rendere orgogliosi gli antenati. Non aveva mai amato profondamente la sua Hiroko, non si era mai perso nei suoi occhi, ubriacato del suo sapore, o inebriato del suo profumo. L’aveva scelta solo perché la riteneva capace di compiere i suoi doveri, di essere moglie e madre, di essere abbastanza forte da non aver bisogno di dimostrazioni di affetto, o di un uomo che si ricordasse anniversari e date. Sapeva che anche per lei sarebbe bastata una convivenza complice, serena e senza troppe pretese. Su questo si trovarono e fu il segreto che gli permise di viv

la fuga di mirek finale

Immagine
precedentemente in la fuga di mirek Un rumore di passi che si avvicinavano lo scosse, almeno tre persone si stavano avvicinando da sud. L’avrebbero punito per il tentativo di fuga? La scarica di adrenalina lo rafforzò, fece appello ad ogni energia residua ed arrivò fino in cima. Non sapeva come scendere ma rimanere lì in cima lo esponeva, senza pensarci si buttò giù oltre il muro. Atterò pesantemente su un fianco. Perse i sensi per qualche minuto. Quando si destò alzò gli occhi e vide l’esterno del muro, era fuori! Continuò a fissare il muro per alcuni minuti, non sicuro di riuscire a muoversi, una scritta sul muro, fatta da qualcuno con lo spray, attirò la sua attenzione anche se non riusciva a capirla, in italiano c’era scritto “i vostri disastri vi hanno portato a questo”. Gli sarebbe piaciuto capire cosa dicesse. Il braccio ed il fianco sinistro gli facevano malissimo. Si domandava quando si sarebbero accorti della sua assenza, avrebbero mandato i droni? Chissà se li avevano

come l'oceano parte 2

Immagine
precedentemente in come l'oceano Gocce di sudore gli scendevano lungo la schiena. Doveva calmarsi, non poteva uscire in quello stato, le mani gli tremavano, la testa gli girava, le gambe stavano perdendo la loro forza, come se all’improvviso i muscoli si fossero atrofizati. Cercò di riprendere il controllo di sé. Infilò una mano nella tasca, trovò le chiavi, infilò l’altra mano nella tasca, questa volta trovò quel che cercava, il pacchetto di sigarette, lo aprì, estrasse l’accendino e la sigaretta. Era l’ultima. Quella del desiderio. Era uno stupido gioco che continuava a fare, anche se non credeva a queste cose, ma ormai il fatto di girare la prima sigaretta del pacchetto e fumarla per ultima era un’abitudine, un gioco, un divertimento che si era trasformato in abitudine, perdendo la suggestione iniziale, era solo un gesto automatico. Non esprimeva neanche più il desiderio. Nonostante ciò, ogni volta che accendeva la sigaretta del desiderio una strana smorfia - for

la fuga di mirek parte 3

Immagine
precedentemente in la fuga di mirek Il CUS si ergeva su una collina che dominava tutta l’area, con vista sulla non lontana costa. Tutta la città, che un tempo sorgeva intorno al vecchio castello, ora era del tutto deserta, eccezione fatta per il comando e gli alloggi della polizia penitenziaria che si trovavano all’interno delle mura che delimitavano il vecchio borgo medievale. Mirek si infuriò con se stesso per essersi addormentato, non aveva potuto vedere  e valutare le mura e le misure di sicurezza della struttura dall’esterno. Scesi dalla corriere i detenuti furono scortati all’interno della struttura principale. Furono alloggiati all’ultimo piano in due per ogni stanza. Entro un mese sarebbero morti tutti gli ospiti della struttura. Mirek si ritrovò in stanza con una signora italiana, fu sorpreso a non ritrovarsi con un uomo ma forse queste distinzioni a quel punto erano inutili. Come scoprì il giorno dopo in quasi tutte le stanze furono sistemati un uomo ed una donna.