come l'oceano parte 5

storie-arrugginite-fantasy

Kiyoshi 

 Kiyoshi aveva solo sei anni quando scelse di diventare adulto. Lo decise nel momento in cui vide sua madre seduta accanto al corpo della sua sorellina senza vita, anche se sembrava che stesse dormendo, solo che la pelle era un po’ più violacea. Si era sempre immaginato la morte più spaventosa, più plateale, non aveva visto nessuno shinigami, eppure sua sorella non era più viva.
E adesso cosa sarebbe successo? Come funzionava, e lei dove sarebbe andata? Ci sarebbero dovuti andare anche loro con lei? L’avrebbero semplicemente accompagnata? Ci avrebbero pensato mamma e papà? Lui cosa avrebbe dovuto fare? Non c’era un modo per cambiare quel che era successo? Con chi avrebbe giocato? Con chi avrebbe litigato?
Mentre si faceva tutte queste domande la sua attenzione cadde sul volto di sua madre. Era sempre stata una donna molto composta, capace di trattenere la rabbia di celare cosa sentiva, ma in quel corridoio freddo di ospedale si era lasciata andare completamente, eccetto per la voce. Piangeva in silenzio, le lacrime le segnavano il viso, il respiro era irregolare, i singhiozzi erano sommessi, era rannicchiata su se stessa, una mano nell’altra le spalle ricurve in avanti, le gambe incrociate alle caviglie, la testa china verso il pavimento. In quel momento non sembrava più la mamma invincibile che aveva sempre creduto, la mamma capace di tutto, che sa tutto, che può tutto. In quel momento vide una mamma a pezzi, fragile, che non poteva nulla, che non sapeva nulla, che non aveva più motivo di vivere.
Fu in quel momento che Kiyoshi si lasciò trasportare dal delirio di onnipotenza di un bambino sotto shock, e fu così che il 12 settembre 1973 Kiyoshi decise di diventare un adulto, rinunciò ai suoi capricci e a puntare i piedi come fanno i bambini. Inconsciamente il veder sua madre straziata dal dolore lo fece convincere dell’idea che se lui, da lì in poi, sarebbe stato un bravo bambino, si sarebbe comportato bene, non avrebbe dato preoccupazioni, la sua mamma avrebbe smesso di soffrire per la morte di Sakuro. Kiyoshi si sobbarcò del compito di essere quello che avrebbe riportato il sorriso sulle facce dei suoi genitori, che avrebbe riportato la felicità e la spensieratezza in casa. Decise di mettere da parte i suoi bisogni, di tutelare quelli di una madre fragile e in pezzi e di rinunciare ad un padre incapace di soddisfarli.
Si addossò di un compito troppo grande per un bambino.
Lo sarebbe stato anche per un adulto.
I giorni successivi alla morte di Sakuro furono molto silenziosi, né la mamma né il papà parlavano molto, e se lo facevano bisbigliavano, come per non disturbare qualcuno che stesse dormendo. Ma chi? C’erano solo loro tre in casa. Kiyoshi non era abituato a parlare a bassa voce e ogni volta che iniziava una frase usava il suo normale tono di voce, ma poi mentre parlava coglieva un’espressione di fastidio nello sguardo di sua madre, e piano piano abbassava il tono.
Alla fine ci si abituò. Divenne normale sussurrare, divenne normale parlare sempre meno.
Il silenzio divenne sempre più spesso, fino al punto da isolare Kiyoshi.
Kiyoshi voleva capire perché la mamma continuasse a piangere giorno e notte, perché non fosse più la mamma di prima, perché continuava ad apparecchiare per quattro, perché parlava con le fotografie di sua sorella e non con lui che era lì in carne ed ossa. Non sapendo a chi rivolgere queste domande Kiyoshi, a volte, provava a porle a suo padre, che se prima non era mai stato bravo con le parole ora lo era ancora meno. Sempre se fosse possibile andare in negativo.

I giorni passarono, poi i mesi, e gli anni, le cose cambiarono ma non tornarono mai quelle di un tempo. Kiyoshi divenne un adolescente solo, accompagnato solo dalla rabbia e dal rancore.
Odiava suo padre per non avergli mai concesso un abbraccio, una carezza, uno sguardo complice, e in alcuni casi la parola. Il loro rapporto non esisteva più, erano due perfetti estranei che vivevano sotto lo stesso tetto.
L’odio non era solo per suo padre, ne aveva una buona dose anche per se stesso. Kiyoshi si odiava, nei giorni successivi alla morte di Sakuro si era stillata in lui la convinzione che Hiroko avesse rinunciato a lui, lo considerasse grande, capace e non bisognoso di attenzioni, ma lo ritenesse il sopravvissuto. Kiyoshi era sicuro che sua madre non facesse altro che chiedersi perché era stato lui quello a sopravvivere, perché non lo aveva bevuto lui l’insetticida, perché non aveva protetto sua sorella. Pensieri che non facevano che alimentare l’odio verso se stesso e il senso di colpa, che crebbero nel corso della sua vita.
Crebbero al punto da iniziare ad odiare anche Sakuro. Kiyoshi era profondamente arrabbiato con sua sorella perché era morta, perché lo aveva lasciato da solo ad affrontare tutto quel casino, e quei genitori che erano cambiati completamente, erano diventati silenziosi e tristi. Ognuno si era chiuso nel suo mondo, soffrendo ognuno a loro modo senza la voglia di capire la sofferenza altrui, non erano più una famiglia, ognuno arrancava lungo la strada della propria vita.
Kiyoshi non sopportava che le attenzioni di sua madre fossero tutte per Sakuro, che ormai non era più lì. Che Sakuro fosse quella da proteggere, quella a cui dedicare tutte le attenzioni, quella di cui parlare e da ricordare, ricordare cosa era capace di fare, di quanto fosse brava in questo o in quello, di quella volta che aveva detto una cosa buffa o di quella volta che era riuscita a fare il nodo alla scarpe. Tutti i progressi di Kiyoshi invece non erano visti, anzi a volte erano pretesi. Sua madre non si mostrava mai sorpresa per quello che riusciva a fare Kiyoshi, né quando prendeva un buon voto a scuola, né ricordava quando lui aveva imparato a fare il nodo alle scarpe o ad andare in bici senza rotelle. I pochi momenti felici erano solo per Sakuro, per Kiyoshi tutto era diverso. Era stato talmente bravo a diventare adulto quando era solo un bambino al punto di viziare i suoi genitori, ormai lo conoscevano solo per quello forte, indipendente e determinato, quello che non aveva bisogno, che era capace di far da solo. Fu su questa facciata che Hiroko e Amane si adagiarono, si lasciarono illudere di avere un bambino forte, che aveva superato, meglio di loro, la morte della propria sorellina, di avere un bambino che non aveva bisogno di carezze o attenzioni inutili, un bambino pragmatico, un bambino adulto.

come l'oceano continua...

Commenti

Post popolari in questo blog

lucifero stronzo incompreso parte 2

lucifero stronzo incompreso finale

kabuki parte 1