come l'oceano parte 4


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Hiroko

Hiroko aveva stretto fortissimo la sua piccola nella corsa da casa all’ospedale. Dentro di lei era scattata un’assurda idea; se l’avesse stretta forte la sua Sakurochan sarebbe rimasta con lei e non se ne sarebbe andata per sempre. Il vortice della depressione la risucchiò il giorno stesso, nello stesso istante in cui gli shinigami le avevano portato via la sua bambina. Hiroko, dopo la morte di Sakuro, dedicava tutta la sua giornata a recitare preghiere al fine di incoraggiare lo spirito della figlia a distaccarsi e incamminarsi verso l'aldilà. 
Investiva le poche energie che le erano rimaste nell’organizzazione di cerimonie commemorative, non voleva che il reikon, lo spirito di Sakurochan, rimanesse in eterno sulla terra, ma voleva che fosse contento del modo in cui era commemorato, così da consentirgli di riunirsi agli antenati nell'aldilà. Inoltre, credeva che se le cerimonie si sarebbero svolte nel modo appropriato il reikon sarebbe divenuto lo spirito protettore della famiglia, o almeno di quel che ne restava. Ciò che le dava la forza per continuare giorno dopo giorno era la credenza che in caso di morti improvvise e innaturali, come quella di Sakurochan, il reikon si sarebbe potuto trattenere nel mondo dei vivi e trasformarsi in yurei, e entrare in contatto con il mondo fisico. 
Alla spiritualità si contrapponeva il bisogno corporeo, Hiroko bramava la sua piccola.
La sua unica spinta motrice era riavere la sua bambina. 
Ecco perché non smise di apparecchiare la tavola per quattro, il posto di Sakurochan era sempre imbandito, accanto al piatto poneva una delle ultime foto scattare e, in alcune giornate, quelle più difficili, le chiedeva anche come era stata la sua giornata, cosa avesse imparato a scuola, con chi avesse giocato, come se la piccola fosse ancora lì seduta, in quella sedia troppo grande per lei, e le potesse rispondere. Continuava a cucinare i piatti preferiti della sua piccola, ma nel frattempo il suo appetito si affievoliva di giorno in giorno, le ore di sonno erano sempre di meno, le attività che un tempo le interessavano avevano perso il potere attrattivo, non usciva più di casa se non strettamente necessario e le altre persone avevano perso interesse ai suoi occhi. 
Il lutto di Hiroko divenne cronico, anche anni dopo la morte della figlia non riusciva a parlarne senza provare un intenso dolore che la divorava da dentro. Da quel fatidico giorno divenne incapace di riprendere in mano le redini della propria vita, fare progetti per il futuro e guardare con gli occhi di un tempo il resto del mondo.
Il disinteresse, ormai radicato in lei, contaminò anche il suo rapporto con il piccolo Kiyoshi, che  non era più una sua preoccupazione, era abbastanza grande da capire da solo cosa fare e quando farlo, era sempre stato un bambino forte e capace di cavarsela. Come d’altronde se l’era cavata quel giorno di settembre non bevendo il latte. Se fosse arrivato prima lui, si sarebbe accorto che non era latte, e la piccola Sakurochan non sarebbe morta, chissà con cosa stava perdendo tempo quella sera, chissà cosa lo aveva trattenuto. 
Hiroko era fermamente convinta che fosse l’unica della famiglia a soffrire, che il suo dolore fosse più intenso di quello di un bambino che non si rendeva conto di quanto fosse complice della morte della sorella, e di un padre che non accennava ad un minimo di senso di colpa per aver messo l’insetticida nelle bottiglie del latte averle lasciarle a portata di mano della sua piccola bambina. La piccola che non era abbastanza forte, che andava protetta, ma che nessuno aveva protetto. 
Spesso si chiedeva perché avrebbe dovuto continuare a dare, specie a loro e soprattutto ora che aveva bisogno di lasciarsi andare, di abbandonarsi. Perché preoccuparsi per un figlio intelligente, capace, che in fin dei conti stava bene, era vivo, lui non era morto. Cos’altro avrebbe potuto voler da lei? E poi c’era sempre il padre, nel caso ci avrebbe pensato lui, lui che sembrava non soffrire per la loro perdita, che si comportava come se nulla fosse successo, come se fosse del tutto normale per un genitore veder morire la propria bambina o esserne la causa.


come l'oceano continua...

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