io sono il Sokomonnos





C’era una volta un vignettista satirico di nome Puccio Pucci.
Puccio Pucci era molto famoso e molto spiritoso, il suo spirito libero e senza compromessi sfornava vignette feroci e sferzanti.
Pucci non risparmiava nessuno, in base al suo umore e gradimento sceglieva un obbiettivo della sua satira e ci dava dentro a più non posso, nulla era intoccabile nulla era sacro, ma davvero nulla!
Un giorno Puccio Pucci decise che avrebbe satirizzato sugli handicappati.  Sì, sì aveva già in mente un sacco di gag su quegli sfigati! Sarebbe stato un numero fantastico! E chissà le vendite! Sarebbero schizzate in alto!
E così fu. Il numero 127 di “Vignettica” che comprendeva una decina di vignette di Pucci sui disabili fece un sacco di scalpore, generò un sacco di polemiche e un sacco di vendite.
Chiaramente la categoria dei disabili non ne fu contenta. La lega spastici tentò di protestare ma nessuno ebbe la pazienza di sentire cosa volevano dire (sapete com'è, sono un po’ lenti a parlare).
Fu così che la cosa dopo un po’ venne dimenticata e tutti tornarono a fare quello che stavano facendo prima. Non proprio tutti. Qualche handicappato rancoroso non riusciva a dimenticare l’offesa. Come si permetteva un normo dotato a prenderli in giro? Come mai pochi normo dotati presero le loro difese? Si la libertà di parola e di stampa… ma che diamine erano già sfigati di loro a ritrovarsi in quella situazione ci mancava solo qualche persona normale che si faceva beffa di loro! Provasse lui ad essere handicappato!
Un gruppo di distrofici (i più testardi e fumantini) tramò nell’ombra per alcuni mesi, caricandosi a vicenda sputando sulla foto di Pucci, il Grande Diavolo. Sentivano che tutti quelli che li incontravano per strada ridevano alle loro spalle. Più del solito, chiaramente.
Qualcuno di loro non ci aveva dormito la notte, nessuno aveva preso le loro difese, tutti parlavano di diritto di satira e roba simile. Il piccolo gruppetto che si ritrovava sul pulmino del comune ed in piscina, discusse a lungo sul da farsi, il discutere li aizzava a vicenda, ognuno di loro cercava di sembrare il più incazzato. Faceva figo. Ed in più a proporre la soluzione più estrema potevi passare per il capo. Alla fine si arrivò alla conclusione che Pucci doveva morire. Nient’altro avrebbe lavato l’onta ed avrebbe insegnato a tutti che i disabili si sanno difendere.
Un giorno, dopo tanti giorni passati a programmare, i tre handicappati piombano nella redazione del giornale alla ricerca di Pucci. Pucci stava al cesso, aveva passato quasi tutta la mattina a cagare e vomitare, probabilmente per colpa del caviale della sera prima. I tre spastici chiesero dove fosse Pucci e gli fu indicato il suo ufficio. Aspettarono in ufficio il ritorno di Pucci dal cesso.
Pucci non tornava ragion per cui i tre si misero a cercarlo in giro per gli uffici della redazione, finalmente capitarono in bagno e il rumore delle scoregge li guidò fino al cesso dove Pucci stava appollaiato sulla tazza, ormai stremato. Lo tirarono fuori a forza e lo buttarono sul pavimento, chiusero a chiave la porta del bagno per non far entrare nessuno. Un disidratato e spaventato Pucci faceva fatica a capire cosa stesse succedendo ma quando guardò i tre cominciò a capire qualcosa.
“adesso morirai, bastardo” urlò uno dei tre estraendo un coltello dalla giacca. Pucci non poté trattenersi e vomitò di nuovo sporcando le scarpe dei tre spastici. Gli venne da ridere per le facce dei tre alla vista delle loro scarpe sporche di vomito. “scusate, sto male!” riuscì ad urlare per placare la loro rabbia. “non potete uccidermi, pensateci finirete in galera, rovinerete la vostra vita!” tentò di persuaderli. “la nostra vita fa già schifo, e ci hai pure sporcato le nostre scarpe, stronzo!”. “si ma pensateci bene se mi ammazzate io diventerò un eroe! La gente scenderà in piazza con magliette con la mia faccia con su scritto io sono Pucci, diventerò un simbolo della libertà di parola, mentre voi sarete solo tre handicappati in galera odiati da tutti!”
Comunque sia, i tre non volevano sentire ragioni ed erano pronti a seccare Pucci, tentando di non scivolare sul vomito e sulla merda cercavano di afferrare l’uomo e di sgozzarlo. Ma proprio in quel momento per una particolare congiunzione astrale che si verifica ogni mille anni circa si materializzo nel bagno una figura mitologica misconosciuta dai più, il Sokomonnos. Gigante bruco dalla testa di farfalla, con piccole alette colorate, il Sokomonnos era l’Avatar Cosmico della Trasformazione. I quattro uomini fissarono la bellissima entità con sgomento e terrore per pochi istanti. Immediatamente, con un lieve movimento delle sue alette, il Sokomonnos creò un vortice potentissimo che risucchiò tutto: i quattro uomini, il vomito e la merda. Quello che rimase alla fine al centro del bagno era un enorme bozzolo. Il Sokomonnos aveva completato la sua missione e quindi svanì nel nulla.
Quando i poveri colleghi della redazione trovarono il gigante bozzolo puzzolente chiamarono la polizia e l’igiene pubblica. Il caso era molto intricato, nessuno aveva mai visto nulla di simile. Arrivarono degli esperti. Dissero che era meglio non spostare nulla, lì dentro un nuovo organismo si stava formando. Presumibilmente sarebbe uscito fuori un unico organismo, ma non c’era la certezza assoluta. Del resto non ci capivano molto neppure gli esperti. Non sapevano quanto tempo ci sarebbe voluto magari giorni, mesi ma non era da escludere pure anni. Il bagno venne sigillato e i poveri redattori dovettero usare il bagno al piano di sotto. Misero pure delle telecamere a circuito chiuso per seguire l’evoluzione della situazione.
La sera un addetto della sicurezza del turno di notte recitava poesie scritte di suo pugno attraverso l’altoparlante. Era convinto che sarebbe nata una creatura stupenda e sperava che succedesse durante il suo turno. Dal suo piccolo monitor poteva vedere il bozzolo che, avrebbe giurato, vibrava di piacere. Una poesia in particolare sembrava rallegrare il bozzolo, la guardia la recitava in piedi tenendosi il pancione con una mano ed il foglio con l' eterni parole nell'altra:
l’angelo della morte reclama la mia anima,
come così presto? Domandai terrorizzato,
tranquillo sono qui per scortarti in paradiso, disse l’angelo.
Ti prego! Gemetti io, non portarmi giù in paradiso ora
Sono qui con la mia amata, fianco a fianco sotto i raggi del sole,
il vento ci carezza e i passeri ci cantano!
Nessuna delizia del paradiso può anche avvicinarsi a questo momento.
Ma io devo! disse l’angelo questa è la tua ora.
Ti supplico lasciami ancora qualche ora e al calar del sole se vorrai
Accetterò pure l’inferno per l’eternità! Tanto qualsiasi altro luogo per me sarà un inferno!


fine

Commenti

  1. Ho letto per caso il tuo post e l'ho trovato molto interessante e ben scritto :-D Sarei curiosa di sapere cosa nascerà da questo bozzolo, amante, tra l'altro, di una poesia molto bella :)

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  2. Mi è piaciuto , ma ora ci vuole un seguito per sapere cosa esce dal bozzolo

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    1. Non me lo ricordo più cosa esce, e oramai è volato via.

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