come l'oceano parte 3


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Amane

Amane non era mai stato un uomo capace di esprimere i propri sentimenti, né con una carezza né tantomeno con le parole, o con un semplice sguardo. Allo stesso tempo, era uno di quegli uomini orgogliosi, sarebbe stato pronto a impugnare la katana e tagliare via l’eventuale pericolo.
Non aveva messo su famiglia per amore, ma per dovere, doveva portare avanti il nome di famiglia e rendere orgogliosi gli antenati. Non aveva mai amato profondamente la sua Hiroko, non si era mai perso nei suoi occhi, ubriacato del suo sapore, o inebriato del suo profumo. L’aveva scelta solo perché la riteneva capace di compiere i suoi doveri, di essere moglie e madre, di essere abbastanza forte da non aver bisogno di dimostrazioni di affetto, o di un uomo che si ricordasse anniversari e date. Sapeva che anche per lei sarebbe bastata una convivenza complice, serena e senza troppe pretese. Su questo si trovarono e fu il segreto che gli permise di vivere così tanti anni insieme. 
Le cose andarono così fino a quando persero la loro bambina. 
Amane nel giro di poco divenne insofferente all’atteggiamento della moglie. Lui non era mai stato un uomo legato alle tradizioni, ad eccezione del portare avanti il nome di famiglia, tradizione alla quale teneva solo per dimostrare la sua mascolinità, la sua forza. Era il suo modo di affermarsi.
Amane, era un uomo debole, incapace di esternare i propri sentimenti, le paure, le passioni e i dolori. Fur per questo che quando la tragedia distrusse la loro famiglia facendo sgorgare fiumi di emozioni lui si chiuse in sé stesso rifiutando il dolore. 
Il suo e quello degli altri.
In poco tempo Amane divenne sempre più intollerante nei confronti di sua moglie, che a differenza sua sentiva il bisogno di lasciare uscire tutto il dolore che le riempiva il cuore.
Non accettava che sua moglie, la donna che non aveva bisogno di nulla, ora avesse perso il controllo della sua vita e non fosse più la donna di un tempo. Lo infastidiva vederla seduta sul divano a fissare il vuoto, o sfogliando gli album di fotografie di famiglia. La odiava quando dimenticava di preparare il pranzo o la cena, lei ormai aveva perso quasi del tutto l’appetito, per questo spesso non ricordava che il resto della sua famiglia aveva bisogno di mangiare. Il più delle volte era il piccolo Kiyoshi che fingendo di chiedere cosa avrebbero mangiato per cena ricordava a sua madre di doverla preparare, così da non dover sentire poi le urla del padre affamato che pretendeva di trovare il piatto caldo sul tavolo senza, però, mai alzare un dito o dare una mano per la preparazione della cena. Anche se poi, quando Amane trovava il piatto pronto, oltre al suo, trovava anche quello per una bimba che non c’era più.
Non ci volle molto che, dopo la morte di Sakuro, Amane sentì il bisogno di andare avanti e ritornare al suo equilibrio, a ciò che lo faceva sentire protetto, anche se era ben chiaro che né sua moglie né suo figlio erano pronti come lui, o molto più probabile loro erano alla ricerca di un nuovo equilibrio.    
Amane non si era mai sentito colpevole della morte della figlia, né dell’imprudenza dimostrata nel travasare un contenuto altamente velenoso nelle bottiglie del latte, per lui era stata un tragedia, che però doveva essere superata, la vita sarebbe andata avanti comunque, anche senza Sakuro. 
Amane non aveva mai sentito la necessità di affrontare il lutto né con la moglie, né tanto meno con il figlio. Era convinto che il discorso morte non dovesse essere affrontato, e ben presto per lui tutti gli argomenti inerenti alle figlia divennero un tabù. 
Il nome di Sakuro non doveva essere pronunciato.
Evitava tutto ciò che gli potesse ricordare di aver messo al mondo una figlia, evitava, quando possibile, i rituali di commemorazione che per la moglie erano diventati l’unica ragione di vita, provava fastidio quando Kiyoshi gli chiedeva dove fosse sua sorella, cosa le sarebbe successo dopo essere morta, o quando voleva avere conferma che ora, la sua sorellina, fosse davvero in un posto migliore, come molti degli adulti gli avevano detto nei giorni successivi alla disgrazia. Amane rispondeva sempre allo stesso modo alle domande del figlio. 
Con il silenzio. 
Spesso si girava dall’altra parte, o gli lanciava un’occhiata minacciosa e usciva dalla stanza. Senza rendersene conto, stava perdendo un altro figlio.
Amane era entrato in una spirale emotiva, ma non essendo capace di esprimere ciò che provava, di esternarlo, di condividerlo era diventato impassibile, freddo e distaccato, rifiutava la perdita cercando di rimuoverla, come anche i sentimenti che ne derivavano, sostituendoli, però, con il rancore e la rabbia verso chi era rimasto accanto a lui.

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