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oltretomba finale

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precedentemente in oltretomba Arrivati alla roulotte di Jill, i due la salutarono. Jill stava ancora pensando a tutti gli interventi della regia nel corso delle riprese. Dopo aver salito il primo gradino si voltò verso i due che si allontanavano. <Karl, anche la vecchia invalida l’avevate mandata voi vero?> <Vecchia invalida? Non mi sembra, ma magari non ero di turno, sai per seguirvi tutti e tre ventiquattro ore facciamo a turni, quindi non so.> <Grazie Karl.> <Riposati Jill, sei una grande!> La prima cosa che fece era guardarsi allo specchio. Come diavolo si era conciata. I capelli unti, gli occhi infossati, la faccia sporca, la pelle rovinata. Quanto tempo era passato? Doveva chiedere a qualcuno. A lei era sembrata una vita intera. Nell’armadio che conteneva i suoi vestiti trovò anche il cellulare. Lo accese e fioccarono i messaggi. Dalle date dei messaggi capì che erano passate solo un paio di settimane. Mentre teneva in mano il telefono notò le

oltretomba parte 4

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precedentemente in oltretomba  Gli assistenti e il signor Morget si fiondarono su Marcos, disteso per terra. <Ok fate un po’ di spazio, questa fase è delicata> il signor Morget, piantò una siringa nel braccio di Arda Bogut e lo schiaffeggiò con delicatezza. <Tenetelo sollevato, Arda mi senti, Arda? Sono il Dott. Morget. Dai Arda sveglia bello, è finita.> <Incredibile - esultava Morget - hai visto Jaques! La forza della suggestione! Non è stato nemmeno colpito ed è venuto giù secco! Te lo avevo detto che avrebbe funzionato comunque anche con la pistola! Fantastico!> Eva era lì per terra a fissare la gente che affollava il parco senza capire che diavolo stesse succedendo, era diventata pazza ne era sicura. Era rannicchiata contro un albero. Allungò la mano verso la pistola, tremante se la puntò alla tempia. In quel momento venne bloccata dall’aiuto regista. <Buona Jill, va bene che è a salve ma non è il caso, Signor Morget, venga a svegliare Jill per favor

oltretomba parte 3

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precedentemente in oltretomba Nel taxi Eva le fa vedere la lettera di Marcos e le racconta la storia dei genitori in difficoltà. Margot prende la lettera e promette di aiutarla. Quella sera per festeggiare Marcos e Eva fanno sesso, si drogano e fantasticano su cosa potranno fare con quei soldi. Dopo tre giorni, Margot convoca Eva. La sua voce è cupa e inflessibile al telefono, Eva ha il presentimento che le cose andranno male. Vomita il pranzo nel cesso, si cala una pastiglia e esce di casa. Per strada si ripete che le cose andranno bene senza riuscire a crederci. Margot sta fumando ed è furiosa, sta sbandierando dei documenti, dice che ha assoldato un investigatore privato che ha indagato su Marcos. Salta fuori che Marcos non si chiama Marcos ma si chiama Jerome o qualcosa di simile e che ha qualche precedente per truffa, rapina e a quanto pare è pure ricercato per altro. Per stupro. Sa che quella lettera della banca è finta ed è decisa ad andare dalla polizia a denunciarlo

oltretomba parte 2

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precedentemente in oltretomba Deve uscire, il monolocale la soffoca, si veste con i primi vestiti che trova. Proprio quando sta per aprire la porta e uscire, qualcuno citofona. Si immobilizza. Marcos le dice sempre di non aprire a nessuno, di far finta di non esserci. Ma il citofono insiste. È un suono alto, sgradevole. Eva si affaccia da dietro le tende e intravede un tizio che non ha mai visto. L’uomo, spazientito, guarda verso le finestre della casa a due piani. Sembra non sapere esattamente dove guardare. Attraversa la strada e si mette ad aspettare appoggiato a un palo delle luce. Si guarda intorno e guarda l’orologio. È un uomo sulla quarantina, con pochi capelli biondi. Eva decide che è meglio non uscire finché non se ne va. Ogni dieci minuti guarda fuori ma il tizio sembra non mollare. Dopo un’ora, sbirciando da dietro le tende vede il tizio parlare al telefono. Dopo che si è rimesso il cellulare in tasca guarda di nuovo verso le finestre del primo piano e si avvia corre

oltretomba parte 1

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Eva indugia davanti alla vetrina, in realtà desidera solo che tutto il mondo scompaia. Ha vagato per le strade in preda a un attacco di panico, le semi deserte stradine laterali la placano un po’, ma continua a tornare sul vialone trafficato, dove al numero 39 dovrebbe citofonare. Il sole sta calando dietro i palazzi, il vento fa volare cartacce, alza la polvere in nubi turbinose e fa rabbrividire i passanti. Le gira la testa e le sembra che la gente la guardi sapendo, sapendo che non ce la fa. Il battito è accelerato, suda freddo, le sembra di morire. Ora è davanti alla vetrina di un negozio di scarpe vicino al numero 39, ha già provato a citofonare due volte senza farcela, l’idea di andarsene un po’ la calma, sì, oramai è decisa ad andarsene, non può salire in quelle condizioni. Non ce la fa. È già in ritardo. Il riflesso nella vetrina mostra una ragazza emaciata, gli occhi cerchiati, la mascella serrata. Com’è arrivata così in basso? Quando è successo? Se ne va, ha deciso.