il controllo finale




precedentemente ne il controllo

Ancora ospedale, per qualche giorno. Qualche frattura e una commozione cerebrale.
Al risveglio dell’ultimo giorno trovò un biglietto sotto il cuscino. “vediamoci” . era ancora la sua calligrafia.
Una notte, tardi. Una zona industriale con diverse ditte e fabbriche. D. non era mai stato qui. La mano aveva indicato una data, un’ora e delle coordinate.
Parcheggiò e scesa dall’auto. Era agitato, tutto il suo essere aspettava qual momento, la prova che non era pazzo era a portata di mano, se qualcuno si fosse presentato, non era pazzo.  Altrimenti…
Una donna si presentò. “Dario” disse, “vieni”.
Dario la seguì, senza parlare. Provava sensazioni miste, liberazione, per il fatto che non si sbagliava,  e paura perché non riusciva a capire come qualcuno potesse entrargli in testa in quel modo, chi era quella donna? La guardava camminandole dietro, aveva un passo deciso e poco rivelatore. Una persona che faceva ciò che doveva, senza troppe esitazioni, questa era l’impressione che gli fece.
Entrarono in un edificio senza insegne, la donna armeggiò con le chiavi e aprì il portone. Accese una pila e si avviarono tra corridoi bui. Salirono delle scale. Entrarono in una grande sala con diverse scrivanie e grossi schermi, tutto spento, tranne uno un grosso schermo formato da sei schermi più piccoli, scorrevano dati e diagrammi. La donna si fermò davanti alla postazione e la indicò a Dario senza dire nulla, la faccia contrita.
“che cosa è? Cosa vorrebbe dire?”
“da qui, gestivamo la tua vita, mi dispiace dirlo in maniera così brutale, ma è così, da qua abbiamo gestito gli ultimi 15 anni della tua vita.”
“in che senso?” chiese Dario ma temeva di aver capito, come se in fondo l’avesse sempre saputo.
“ hai fatto parte di questo esperimento, per tutto questo tempo” la voce della donna tremava, come se a dire quelle cose se ne rendesse conto per la prima volta. “ Sei stato al cento di tutto questo… per tanto tempo vedi, oddio, devo cominciare dal principio, siediti.”
Arretrando impacciatamente, la donna infilò un piede in un cestino della spazzatura, barcollò e cadde pesantemente sul sedere, urlando all'atterraggio. Dario istintivamente l’ aiutò ad alzarsi, ma la donna non riusciva a stare in piedi. “oddio mi sono slogata un piede!” urlò piangendo, “dio che stupida, mi spiace” disse a se stessa. “ti devo spiegare tutto, ma fa tanto male, cazzo! Diceva, mente era seduta a massaggiarsi la caviglia. Dario si guardava intorno, smarrito, voleva risposte e questo non era quello che si era immaginato o aspettato.
“per favore accompagnami in pronto soccorso, non sento più il piede” disse la donna in tono lamentoso, le lacrime le rigavano il volto. “ma io devo sapere!” protestò Dario.
“ti racconto tutto strada facendo, promesso”. La donna si faceva sorreggere da Dario, uscirono piano piano dall'edificio, lei ebbe premura di chiudere le porte. Salirono sulla macchina di Dario, che impostò il navigatore verso il pronto soccorso più vicino.
“cosa vuol dire tutto questo?” sbottò Dario dopo un po’, “spiegami qualcosa!”.
“allora, ti avrei mostrato tutto, ora ti devi fidare della mia parola, vedi, eri morto, o quasi, ti sei suicidato.
In carcere, eri in attesa di giudizio, e il nostro ex capo, un pezzo grosso con tanto contatti si fece consegnare il corpo in tempo, il tuo cervello era ancora vivo e..”
“cosa? Ma che diavolo di deliri sono mai questi?” inchiodò con la macchina in mezzo alla strada deserta.
“io non ricordo nulla di tutto ciò!”
“ovvio che non ricordi, e so che sembra assurdo ma è la verità. Il peacemaker serviva a far ripartire il tuo cuore, all'epoca il progetto aveva un sacco di finanziamenti, il grande capo era davvero capace.”  Disse tra un lamento e l’altro. “ti prego riparti ora ti dico tutto ma mi fa malissimo la caviglia.” Implorò.
Dario rimise in moto in silenzio. Cominciava a credere che fosse una svitata, non sapeva nulla e non poteva provare nulla, la caviglia era una scusa per non mostrare niente, niente che non aveva. L’avrebbe mollata al pronto soccorso e avrebbe dimenticato tutta quella notte assurda.
“prima di rianimarti del tutto abbiamo rimosso tutti i ricordi, poi te ne abbiamo installati altri, un processo senza precedenti, davvero. Lo scopo era capire quanto i ricordi condizionassero chi siamo, come persone, come traumi, ma c’era un secondo livello all'esperimento, avremmo manovrato e deciso noi gran parte di quello che facevi, in teoria, per i primi tempi…anche se questa fase ha tirato un po’ per le lunghe più del previsto”
“come fate a controllarmi?”
“nanobot che regolano i processi chimici nel tuo cervello, anche qui siamo all'avanguardia. Sei stato fonte di molti risultati e studi molto prolifici. La serotonina, il cervelletto, dmt, tutte le tue funzioni cerebrali attentamente calibrate ti portavano nella direzione che volevamo noi, ti portavano a dare più importanza a certi pensieri piuttosto che altri, a credere in alcune cose piuttosto che altre, era affascinante.”
“chi decideva cosa dovevo fare?” incalzò Dario.
“ecco un po’ tutti noi, e non solo per un periodo abbiamo coinvolto altri scienziati, sul forum online si votava, cosa avresti dovuto fare…”
“un forum online??!” protestò Dario, si rifiutava di credere. “quante balle, non credo a nemmeno una parola!”
“il fatto che io abbia controllato la tua mano non è una prova di quello che dico?” chiese la donna senza aspettare risposta. “ecco accosta qua, tu vai mi farò viva di nuovo io, mi spiace non poterti spiegare meglio”
“aspetta! Che fine hanno fatto gli altri? Perché ero in prigione? Perché me lo stai dicendo proprio ora, tutto questo?” chiede Dario trattenendola per un braccio.
“il progetto è chiuso da molto tempo, avremmo dovuto lasciarti andare senza dirti nulla, ma io non me la sono sentita. Eri in galera per un duplice omicidio, avevi ucciso i tuoi genitori.” Approfittando dello sguardo smarrito di Dario, la donna scende dalla macchina e si allontanò zoppicando verso l’ingresso del pronto soccorso.
Dario rimase lì in macchina seduto, senza fare nulla, finché una guardia non gli disse di spostare la macchina, non poteva sostare davanti al pronto soccorso. Avviò la macchina e ripartì. Era sorpreso che il suo corpo rispondesse ai suoi comandi.
Non lo sentiva suo, gli sembrava di essere intrappolato in un sarcofago.




NdA
Ho trovato questo testo in un vecchio quaderno che non usavo da tempo, il fatto è che non ricordo di aver mai scritto questo righe. Sono assolutamente sicuro di non averle scritte io. L’ho riportato fedelmente così com'era, non so se finisce così o se avrebbe dovuto proseguire  e lascio al lettore facoltà di giudizio, io non so cosa pensarne.
L’unica cosa che mi turba è che la calligrafia è la mia.


fine

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