oltretomba parte 1



oltretomba-storie-arrugginite




Eva indugia davanti alla vetrina, in realtà desidera solo che tutto il mondo scompaia. Ha vagato per le strade in preda a un attacco di panico, le semi deserte stradine laterali la placano un po’, ma continua a tornare sul vialone trafficato, dove al numero 39 dovrebbe citofonare. Il sole sta calando dietro i palazzi, il vento fa volare cartacce, alza la polvere in nubi turbinose e fa rabbrividire i passanti. Le gira la testa e le sembra che la gente la guardi sapendo, sapendo che non ce la fa. Il battito è accelerato, suda freddo, le sembra di morire. Ora è davanti alla vetrina di un negozio di scarpe vicino al numero 39, ha già provato a citofonare due volte senza farcela, l’idea di andarsene un po’ la calma, sì, oramai è decisa ad andarsene, non può salire in quelle condizioni. Non ce la fa. È già in ritardo. Il riflesso nella vetrina mostra una ragazza emaciata, gli occhi cerchiati, la mascella serrata. Com’è arrivata così in basso? Quando è successo? Se ne va, ha deciso.
<Hey, ragazza scusami>
Eva si gira e vede una signora grassa e anziana su una sedia a rotelle di fianco a lei.
<Non è che mi aiuteresti a salire sul portone di casa?> chiede la vecchia con lo sguardo fisso e vuoto.
<D-dove, mi scusi?>
<Abito in Earl Street, qua vicino.>
Eva non ha idea di dove sia Earl Street e non capisce perché la signora non chieda aiuto quando arriverà davanti a casa sua. La vecchia è trasandata e sporca e a Eva inquieta.
<Mi scusi, sono già in ritardo, mi stanno aspettando.> Eva fa pochi passi e si lancia sul citofono del 39, il portone si apre con un clack e lei entra di corsa. Ora è dentro, si sente già meglio, non ha mentito alla vecchia, qualcun altro l’aiuterà, lei deve salire. L’imprevisto l’ha motivata e le dà un po’ di coraggio. Sale le scale a fatica, ha il fiatone. Arrivata al terzo piano trova la porta socchiusa, filtrano luci soffuse e musica chill-out. L’ultimo pensiero di fuga le balena per la mente, ma ormai sta varcando la porta. Margot sta dipingendo su una grande tela appoggiata alla parete. Per un po’ va avanti a dipingere senza, apparentemente, notare Eva. Lei è quasi sollevata, ha il tempo di sedersi in un angolo e concentrarsi sulla respirazione. L’attacco di panico va a ondate, ormai sempre più lievi. Nei minuti di tregua si sente di nuovo lucida. E stupida. Si rannicchia sulla sedia e si mangia le unghie.
Margot finisce di dipingere, fa due passi indietro si riavvia i capelli ribelli, e piegando la testa verso sinistra fissa la tela per qualche minuto, poi si butta sul divano e si accende una sigaretta.
 <Hai un aspetto orribile>, dice a Eva dopo averla squadrata.
<Grazie.>
<Non voglio ripetere sempre le stesse cose, ma lo sai come la penso.>
<Sì lo so, me lo ripeti ogni volta, Cristo.> Eva scatta in piedi e si affaccia alla finestra, le tremano un po’ le labbra. Fuori la città va avanti e indietro indifferente.
Margot si alza e l’abbraccia da dietro, appoggiando la sua faccia sulla spalla di Eva. Rimangono lì a guardare il cielo serale macchiato di violetto e rosa.
<Mi servono dei soldi, lo so che ti avevo detto che non te ne avrei chiesti altri, ma devo pagare l’affitto.> In realtà non deve, non ha più una casa. Ormai sta da lui.
<Perché non te lo paga lui l’affitto, eh?>, sussurra Margot.
Eva trema come una foglia.
<Va bene, ti do i soldi>. Margot si stacca da Eva e la gira, la bacia delicatamente e poi sempre più appassionatamente, sempre più pressante. Eva la lascia fare. Durante il sesso si lascia andare meccanicamente, lo fa come se stesse facendo la spesa, una cosa da fare e basta.

È notte fonda, Eva è per strada, ora la città è quieta. Cammina a passo spedito verso casa di Marcos. È più sollevata ora, anche questa è andata, ha i soldi. Spera che gli bastino.
Le sembra di ricordare che a un certo punto della sua vita è stata felice, ma non ricorda più come si fa ad essere felice.  Con Marcos, all’inizio, la passione e il desiderio la facevano stare bene. Anche con Margot in principio non era stato male. Ma a lei piacevano di più gli uomini, la facevano sentire più protetta. Marcos la fa ancora sentire protetta. Ma non riesce a vedere un futuro, sta annegando e l’unica cosa di cui ha bisogno è tenere fuori la testa dall’acqua. Va avanti per inerzia, solo perché qualcosa deve pur fare. Come un topo in un labirinto.
 <Allora, li hai?> Non è ancora entrata dalla porta che Marcos già le ha chiesto i soldi.
<Sì> Eva tira fuori le banconote stropicciate. Lui le agguanta e distende il volto. Si era già fatto. Gli occhi sono leggermente assenti e velati.
<Brava amore, te la sei meritata.> le dice infilandole una pastiglia sotto la lingua. Lei lo abbraccia forte, lui si stacca.
<Perché ci hai messo così tanto? Quella troia ha voluto scopare, vero?> Marcos riprende ad allenarsi con i pesi in mezzo al suo monolocale, la Tv sta andando ad un volume inaudito. Davanti ad uno specchio appoggiato contro la parete, Marcos ammira i suoi muscoli tesi.
Eva si rannicchia su una sedia del tavolo a due posti nel cucinotto a vista.
<Ti ha dato poco, con questi non ci facciamo nulla.> Intanto va avanti a pomparsi i bicipiti. I soldi non li aveva neanche contati. Eva lo guarda allenarsi e intanto la pillola comincia a farle effetto. Si sente meglio. Vuole una sigaretta. I nervi si distendono, si massaggia la testa. Chiude gli occhi e vede colori stroboscopici esplodere e fondersi in figure geometriche.
<Vuole tenerti legata a lei, quella stronza mi odia, lo so. Sa che io sono l’unica persona che non le permette di controllarti. Le piacerebbe tenerti tutta per sé, per comandarti, per esercitare il suo controllo su di te. È proprio una miserabile, lo sai? Come mio padre, anche lui faceva il padrone, il dittatore in casa. Picchiava me e mia madre. Ma sai una cosa? Fuori, con gli altri, era una mezza sega. Prendeva ordini da tutti fuori, al lavoro, dai suoi amici. E in casa invece faceva quello che fuori non aveva le palle di fare. Il suo piccolo regno: una ragazza e un bambino piccolo. Margot è proprio come lui, una nullità che ha bisogno di una ragazzina succube per sentirsi viva.>
Marcos mette giù i pesi, va verso Eva e, prendendola per le mani, la porta sul divano. La fa sdraiare e le massaggia le spalle.
<Non ti preoccupare, presto ce ne andremo da questo posto e non dovrai avere più a che fare con lei, ma dobbiamo avere di più, non possiamo andarcene con due spiccioli.>
Eva si stringe a lui, vorrebbe che smettesse di parlare, vuole solo stare abbracciata a lui in silenzio. Sente i suoi muscoli caldi e sudati, il suo battito accelerato, il suo odore acre.
Lui la scosta e va di nuovo verso lo specchio, si guarda la stempiatura con sguardo preoccupato. Si cambia la canotta e tira su le chiavi, lei lo guarda con rassegnazione.
<Esco, vado a pagare quello stronzo di Zack, sennò non mi passa più niente.> Si accovaccia davanti a lei. <Ho un’idea in mente, un modo per recuperare più soldi. Ne parliamo domani, non aspettarmi sveglia.> Le stampa un bacio in fronte ed esce.
Eva vegeta per un po’, non riesce a dormire, ma sta bene. La droga la aiuta a non pensare. Si perde in un mondo di pensieri sconnessi, ma tutti innocui. Quando il sole risorge, lei dorme.
Quando si sveglia il sole è alto in cielo, Marcus non c’è. Trova un messaggio sul frigorifero. Dobbiamo parlare. Marcus non sarebbe tornato prima del pomeriggio. Vuole che lo aspetti. Sicuramente non vuole che veda Margot, prima di aver parlato con lui. Eva si agita, immagina che le chiederà di fare qualcosa. Lei vorrebbe solo stare con lui, non vuole più dover vedere Margot, non vuole più vendersi per qualche soldo. Margot le ha già dato tanti soldi, vuole che lasci Marcos e torni da lei.

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