soffice come il velluto parte 1

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Mi ricordo, ero lì in cima alle scale, era il primo gradino dell’ultima rampa. Saranno state una quindicina di scale, sarà perché ero piccola, sarà perché era tutto blu, sarà perché avevo paura, a me sembravano ripidissime e smisuratamente interminabili, come se portassero oltre il pavimento, oltre la terra.
Non ricordo chi fosse, io ero di spalle. Ricordo il suo fiato caldo vicino al mio orecchio, sul mio collo, sulla mia spalla.
Non ricordo chi fosse, io ero di spalle. Ricordo, senza toccarmi mi spingeva. Non sentivo né la sua mano, né il suo calore vitale. Sentivo solo un’opprimente, soffocante, asfissiante voce che tentava di persuadermi ad alzare il piede destro dal primo gradino per posarlo su quello successivo, così, da alzare poi il piede sinistro e portarlo sullo stesso scalino dove ora si trovava il destro.
Così da andare avanti, o meglio, verso il basso.
Non ricordo chi fosse, io ero di spalle.
Non mi voltai.
Avevo uno strano sentore, l’odore della paura mi era entrato dentro, era talmente forte da sentirne il peso addosso. Forse per quello non mi voltai.
Non ricordo chi fosse, io ero di spalle e non mi voltai, ma riuscì, senza sfiorarmi a farmi muovere in avanti, o meglio, verso il basso.
Vedevo un tappeto rosso in fondo alle scale, non so se allora già c’era o, se oggi lo ricordo solo perché ora so che è lì.
Ricordo delle ombre su quel tappeto scarlatto, che forse esiste solo in un altro scomparto nella mia mente, e che al momento è stato messo lì. Evidentemente qualcosa si è confuso durante la riesumazione di questo inconcepibile e intangibile ricordo.
Ecco che sensazione era. Era tutto stranamente intangibile, la presenza dietro di me, le scale sotto i miei piedi e le sagome che la luce blu proiettava sul quel dubbio tappeto.
Mi ricordo, io ero di spalle, ma appena notai quei fantocci in fondo alle scale, quello dietro di me svanì e lasciò solo una gelida sensazione di mancanza. La sentii bene, la sentii bene perché sostituì il calore soffocante delle sue parole.
I due esseri, anche essi volevano che io scendessi, ma per cosa? Non riuscivo proprio a capirlo, anche perché le loro parole suonavano come ovattate, come distorte.
Andai avanti, o meglio, verso il basso.
Scesi.
Mi feci coraggio.
Più scendevo e più loro prendevano le distanze da me, come se non potessimo coesistere nello stesso spazio vitale.
Continuavo a non capire.
Il blu, la nebbia, il freddo, le parole non chiare, ora forse il tappeto non c’era più.
Non ricordo come, arrivai all’ultimo gradino.
Evidentemente, da qualche parte, trovai il coraggio per rivolgere il mio sguardo verso quelle ombre solide che avevo davanti.
Erano come manichini, solo di colore nero, del nero più nero, erano davvero bui. Non riuscivo a distinguere nessun dettaglio del loro volto.
Non ricordo come, ma sapevo, se mi fossi avvicinata di più a loro, loro si sarebbero sfilati subito una sorta di stralcio di stoffa svelandomi un marmoreo teschio.

soffice come il velluto continua... 

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