soffice come il velluto parte 2


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precedentemente in soffice come il velluto 

Non ricordo come sapevo tutto ciò, ero anche a conoscenza che se io non fossi stata lì, loro si sarebbero sentiti a loro agio a esibire il loro vero volto. Un volto non di pelle, ma d’ossa.
Non ricordo come sapevo tutto ciò.
Rimasi per un lasso incerto di tempo in uno stato tra curiosità e terrore, l’unica costante era il blu, la nebbia, il freddo, le parole non chiare e il tutto così realmente intangibile.
Qualcosa attrasse la mia attenzione risvegliandomi da quello stato di trance, mi voltai verso le sagome alla mia destra, fu allora che capii che quelle figure oscure avevano le idee molto più chiare di me. A loro il blu, la nebbia e il freddo non offuscavano il cervello. Riuscii, inspiegabilmente, o senza un’apparente ragione, a comprendere ciò che volevano, volevano che aprissi la porta alla mia sinistra. Una porta che fino ad un secondo prima non era lì. Una porta che iniziò ad esistere solo nell'instante in cui ne presi consapevolezza.
La porta era più fredda del gelo, grigia, liscia, senza nessun decoro, la maniglia nera, anch’essa liscia, senza nessun decoro.
La mia mano, c’era solo la mia mano e la maniglia. Tutto il resto si era diradato nel nulla, lasciando un incolmabile peso, un assordante silenzio, una pacata angoscia.
Anche io non ero più dentro di me, ero fuori di me, riuscivo a vedere la mia mano che con una lentezza inaudita si avvicinava alla maniglia. Da fuori di me riuscivo a sentire il mio cuore battere, una, una due, una due tre volte, e poi ancora una, una due, una due tre volte.
Non appena la mia mano sfiorò e abbassò leggermente la maniglia fui risucchiata nel mio corpo, il blu, la nebbia, il freddo, le parole non chiare e gli strani personaggi tornarono tutti lì, esattamente dove erano prima.
Non ricordo come, ma capii che quelle persone senza un volto fatto di carne volevano che varcassi quella porta. L’unica cosa che riuscivo a percepire oltre quell’uscio era un immenso denso buio. Feci un passo, ed entrai dentro, mi voltai e vidi che le sagome si erano ritratte, loro non volevano entrare.
Dovevo andare da sola.
Entrai.
Non appena fui dentro il fuori divenne istantaneamente distante, fu così rapido che riuscii a vedere la scia del movimento, come se dall’altro capo ci fosse un magnete gigante capace di attirare a sé il blu, la nebbia, il freddo, le parole non chiare e gli strani personaggi.
Io non fui risucchiata.
Io rimasi nella stanza a sinistra delle scale ai cui piedi forse c’era un tappeto rosso.
La stanza era buia, ma nel felpato nero che la imbottiva vidi un termosifone, era proprio di fronte a me. Era davanti a me. Era bianco.
Rimasi per un po’ a fissarlo.
La stanza era buia, ma nel vellutato nero che la colmava vidi un frigo, era proprio accanto a me. Era alla mia sinistra. Era bianco.
Rimasi per un po’ a fissarlo.
Non so come, ma capii che dovevo rivolgere la mia attenzione al termosifone e non al frigorifero.
Mi avvicinai.


soffice come il velluto continua...

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