la fuga di mirek parte 3




precedentemente in la fuga di mirek

Il CUS si ergeva su una collina che dominava tutta l’area, con vista sulla non lontana costa. Tutta la città, che un tempo sorgeva intorno al vecchio castello, ora era del tutto deserta, eccezione fatta per il comando e gli alloggi della polizia penitenziaria che si trovavano all’interno delle mura che delimitavano il vecchio borgo medievale.
Mirek si infuriò con se stesso per essersi addormentato, non aveva potuto vedere  e valutare le mura e le misure di sicurezza della struttura dall’esterno.
Scesi dalla corriere i detenuti furono scortati all’interno della struttura principale. Furono alloggiati all’ultimo piano in due per ogni stanza. Entro un mese sarebbero morti tutti gli ospiti della struttura.
Mirek si ritrovò in stanza con una signora italiana, fu sorpreso a non ritrovarsi con un uomo ma forse queste distinzioni a quel punto erano inutili. Come scoprì il giorno dopo in quasi tutte le stanze furono sistemati un uomo ed una donna. Chissà se la direzione della struttura non gli stesse suggerendo qualcosa. Molto simpatici.
 Annamaria aveva già compiuto i 70 sei giorni prima e da un momento all’altro aspettava di essere convocata. Passava tutto il tempo sul suo letto a piangere e dormire. Mirek era riuscito a scambiarci qualche parola anche se ormai le sue nozioni di italiano erano piuttosto sbiadite.
I giorni passarono velocemente, Mirek cercò di carpire tutto il possibile sui turni ed il numero delle guardie e gli inservienti, sulle uscite ed eventuali vie di fuga. Le giornate scorrevano veloci Mirek era costantemente in apprensione, depresso e preoccupato, nelle ore di libera uscita ispezionava le mura della struttura in cerca di qualche punto debole, evitava accuratamente di socializzare con gli altri ospiti, guardarli gli faceva pensare che anche lui doveva essere come loro: uno spettro che si aggira in attesa di essere liberato, vederli gli faceva provare tanta tristezza e tanta rabbia; nessun essere umano meritava un tale trattamento, si diceva. La morte sarebbe arrivata per tutti ma nessuno meritava di essere privato della speranza, anche un vecchio senza speranza.
Dopo quattro giorni, decise che era il momento di fare la sua unica chiamata a cui aveva diritto. Il suo contatto promise che lo avrebbe aspettato per le due notti successive, ricordandogli che il poco che lo aveva pagato non copriva il rischio a cui si sarebbe sottoposto per aiutarlo, se non si fosse presentato si sarebbe dovuto arrangiare. Certo aveva rischiato ad aspettare tanto a chiamare ma confidava nel fatto che il suo compleanno era tra tre giorni (terminare un sessantanovenne sarebbe stato legalmente un reato) e soprattutto la presenza in vita della sua coinquilina Annamaria, che aspettava già da tempo, lo rassicurava. Il piano era che il suo contatto lo avrebbe aspettato lungo la costa su un’imbarcazione, dalle 22 fino all’alba, e che da li lo avrebbe portato il Albania e scaricato illegalmente lì. Come scappare e raggiungere la costa o cosa avrebbe fatto da clandestino in Albania erano fatti di Mirek.
Mirek studiò la situazione per tutta la sera dalla finestra del corridoio, notò che il cambio di guardia delle 22 era piuttosto blando, molte guardie arrivavano diversi minuti dopo il loro turno e a quell’ora i sanitari che si aggiravano per la struttura erano esigui, pensò che fosse il momento migliore ma proprio quando si decise nella sua stanza Annamaria cominciò ad urlare in preda ad un attacco di panico, altri vecchi accorsero, pure tre inservienti ed un paio di guardie arrivarono pochi istanti dopo in quattro dovettero immobilizzarla e sedarla. Quella stessa notte fu portata via. Ovviamente Mirek dovette rinunciare al suo piano per quella notte. Il giorno dopo Annamaria non fece ritorno e le sue poche cose furono sgombrate dalla stanza. Mirek dormì poco e male, infuriato per l’occasione sprecata, quella sera era la sua ultima chance. Non riuscì a mangiare quasi nulla durante la giornata tanto era teso e nervoso, passò il tempo a guardare nervosamente l’orologio e tentando di studiare i movimenti delle guardie e degli inservienti. Alle dieci e mezza di sera non poté aspettare oltre e si fiondò deciso giù dalle scale, non incontrò nessuno fino all’uscita del castello. Ma poco lontano dall’ingresso c’era movimento. 
Ma che diavolo? Quel vecchietto ungherese che gli era stato antipatico fin da subito era fermo presso l’entrata principale tutti i fari erano accesi e giravano. Con lui c’erano tre delle guardie. Tutti e quattro sembravano ridere a crepapelle. Cosa significava? Mirek capì che pure l’ungherese aveva tentato la fuga. Proprio la stessa sera! Una rabbia incontrollata lo dominò. Come era possibile che un tale deficiente avesse avuto la sua stessa idea!
Maledetto idiota. Adesso le guardie sarebbero state in allerta tutta la notte. Doveva muoversi subito. Si domandava che diavolo avevano da ridere. Rasente muro si mosse furtivamente lungo il perimetro del cortile, la distrazione delle guardie l’avrebbe aiutato ad uscire. E così fu il cancello era aperto e tutte le guardie erano all’ingresso della struttura e sembravano prendere in giro l’ungherese. L’inconveniente era che il cancello del castello dava sulla cittadella medievale, attuale dormitorio del personale e quartiere amministrativo della struttura. Attraversarla tutta centralmente inosservato fino all’entrata della cittadella era fuori questione. A Mirek non venne altro in mente se non seguire il muro, sperando di trovare un varco o qualche aiuto divino. Il muro continuava a zigzag verso est e trecento metri più in la si intersecava con il muro esterno, quella pensò Mirek era la sua unica via d’uscita. Spalle al muro Mirek avanzava lentamente, davanti a lui c’era la fiancata laterale di quella che sembrava un complesso adibito ad alloggio del personale, una seconda casa e in fine un  piccolo spazio dove forse tempo fa c’era un manto erboso. Dopo interminabili minuti Mirek arrivò all’intersezione dei muri. Nessuno lo aveva visto. Nessuno in vista. Secondi preziosi passati a riprendere fiato, il cuore sembrava dover balzare fuori da un momento all’altro. Il muro era alto diversi metri. Nessuna apertura visibile, toccava scalare. Poteva un settantenne scalare un muro alto almeno 5 metri? Forse la sicurezza era blanda perché puntavano su quello. Infilare le dita e le punte dei piedi tra una pietra e l’altra del muro era un’impresa titanica per Mirek. A neanche metà muro gli bruciavano tutti i muscoli delle spalle e delle braccia, le dita dopo un po’ non le sentiva nemmeno più. Stava per mollare, il dolore era insopportabile, non ce l’avrebbe mai fatta, sarebbe tornato in camera sua e avrebbe atteso il giorno della sua chiamata come tutti gli altri e basta. Sicuramente gente migliore di lui aveva fatto quella fine, molti prima di lui e molti altri la faranno dopo di lui. Chissenefrega, non ci teneva molto a vivere ancora in un mondo di merda del genere. Anzi avrebbe chiesto lui stesso di essere terminato il prima possibile.




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