come l'oceano parte 1


racconti-storie



Penso ci siano momenti in cui devi trasformare i sentimenti in parole perché vengano capiti. 
(Hiromu Arakawa)

 Kiyoshi

Era il 12 settembre 2005, era un lunedì, e come la maggior parte dei lunedì non era né facile né felice. Quella mattina Kiyoshi si era svegliato con un pensiero, non del tutto sconosciuto, in testa. In parte lo conosceva, aveva imparato a convivere con quel pizzicore tra i pensieri. Nonostante il peso di questo tarlo spostò le coperte, si sedette sul letto, cercò con i piedi le pantofole, senza trovarle si alzò e si diresse verso il bagno a piedi nudi.
Quella mattina lo infastidiva anche il suo stesso riflesso. Non che fosse più brutto del solito, ma quel giorno non riusciva proprio a guardarsi dentro. Quel giorno il riflesso non gli restituiva la sua immagine esterna, ma quella più nascosta, riusciva a scorgere, in quegli occhi riflessi, la sua paura, i sensi di colpa, il dolore. Solo a guardarsi si sentiva, si vedeva, come un impotente che dalle finestre di una casa scorge una lite familiare, i due genitori si urlano contro e i due bambini si stringono forte tra loro cercando protezione tra i peluches.
Con questa immagine nella mente Kiyoshi pensò - Almeno loro sono in due.
Gli faceva male osservare il suo riflesso nello specchio, quella lastra di vetro e d’argento gli restituiva indietro il proprio dolore, la sofferenza celata dentro, il malessere annidato in profondità, gli offriva la possibilità di vedere quel che lui tentava di celare. Ogni volta che vedeva il riflesso di quell’uomo anestetizzato, quasi sedato, sentiva, dentro di sé rompersi qualcosa, ciò lo faceva sentire come spezzato a metà, diviso, lo sentiva talmente tanto da percepirne il dolore fisico, si sentiva dilaniato, lacerato, squarciato.
L’impotenza di fronte a quel dolore non faceva che amplificarne la rabbia, e lo innervosiva a tal punto di voler distruggere con le sue stesse mani quel riflesso nello specchio, prenderlo a pugni, distruggerlo in mille pezzi, vedere ogni singolo frammento sparso per la stanza e lasciarli lì, senza raccoglierli, e perché no camminandoci sopra, anche a piedi nudi anche solo per sentire qualcosa di diverso…

Superato l’ostacolo dello specchio Kiyoshi si trascinò in cucina.
Aprì l’anta della dispensa, prese il barattolo di latta del caffè, poi la moka e, una volta preparata, la posò sul fornello.
Poi accese la tv, cambiò qualche canale, come se fosse alla ricerca di un programma in particolare, anche se in realtà era più un gesto automatico, i suoi occhi fissavano il vuoto, sperava forse di trovare lì una qualche risposta, una soluzione, un rimedio, un’alternativa, qualunque cosa.
Il rumore del caffè che strabordava dalla moka e cadeva sulla fiamma del fornello lo richiamò alla realtà di quel momento.
Spense prima la tv e poi girò la manopola del gas, versò il caffè nella tazzina, aggiunse un cucchiaino di zucchero e un po’ di latte freddo. Lo versò direttamente dal cartone che aveva preso nel frigo. Prima di riporre il cartone di latte in frigo lo fissò per un po’, poi tornò alla tazzina di latte e caffè.
Senza mescolare il tutto fece un sorso. Non avendolo mescolato sentì inizialmente il sapore del latte freddo, subito dopo arrivò quello del caffè amaro, per poi arrivare una pappetta di zucchero e caffè, gli piaceva masticarlo, sentire i granelli di zucchero sotto i denti.
Una volta lavato e vestito, prima di uscire di casa si guardò indietro, come se fosse un addio, come se stesse per lasciarsi dietro di sé qualcosa di importante; o semplicemente lasciava la sua zona di comfort. In giorni come quelli si sarebbe volentieri rintanato dentro, da solo, lontano da tutti e tutto, al sicuro. Al solo pensiero di dover uscire fuori, affrontare le altre persone, dover parlare con loro, scambiare convenevoli, sorrisi di circostanza, saluti, strette di mano, chiacchiere inutili, superficiali.
Il respiro diventava sempre più irregolare.
Il cuore accelerava.

come l'oceano continua...

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