il controllo parte 1





D. A. accusò il primo formicolio in vacanza. Era al mare con la moglie e i tre bambini. I bambini giocavano sulla spiaggia e la moglie prendeva il sole sullo sdraio affianco al suo. Lui stava leggendo il quotidiano sportivo come gli piaceva fare in vacanza, non gli interessava molto il mercato estivo, quasi tutte le notizie erano aria fritta. Ma gli piaceva l’idea di avere il tempo per leggere il giornale, un lusso che a casa non poteva permettersi. Erano quasi le undici, una lieve brezza stemperava il sole già caldo. Da sopra il giornale vedeva i ragazzi che si rincorrevano pochi metri più avanti, il mare era sereno, in lontananza una nave da crociera rifletteva i raggi solari. Una lieve fitta all’altezza del cuore fu seguita da una leggera scossa che diffuse uno strano pizzicore. D. si spaventò. Si tirò su in posizione eretta e si mise una mano sul cuore.
Il pizzicore si stava trasformando in un diffuso formicolio, ma ora il suo cuore batteva forte per lo spavento. 
Non aveva mai avuto problemi di salute, nei suoi quarant’anni di vita non era quasi mai stato dal medico. Sicuramente non ci era mai stato negli ultimi venti. Da piccolo ogni tanto la mamma lo portava dal pediatra per un controllo, ma non ammalandosi mai fin da piccolino, andare dal medico era inutile. 
La moglie si voltò e vedendolo in volto, allarmata, gli chiese cosa avesse. Le raccontò l’accaduto. Intanto era tutto passato. Non sapeva bene neanche perché si fosse spaventato tanto. Ne discussero un po’ e convennero che era rimasto impressionato dal racconto di un loro amico la sera precedente, riguardo un loro conoscente comune, loro coetaneo, che era morto all’improvviso per un infarto. 
L’umore di D. rimase buio per il resto della mattinata, attento a sondare il proprio battito e ogni minimo segnale che il proprio corpo gli mandava. Cercava di concentrarsi sul giornale ma senza successo. Cominciava a domandarsi se forse non avrebbe dovuto fare qualche esame ogni tanto, il tempo passava anche per lui.
“papà va da Gesù se non fai il bravo! Hai capito? Papà muore se non lo ascolti!” con queste parole e con la faccia stravolta D sgridava il suo figlio più piccolo che si era avventurato nell’acqua alta da solo, il bambino non sembrava curarsi molto del padre mentre era chino a giocherellare sulla sabbia. Qualche bagnante si voltava a guardarli ma D. non sembrava curarsene. Provava parecchia rabbia, quel figlio in particolare lo indispettiva nella sua indifferenza all’autorità del padre. Aveva provato di tutto in cerca dell’arma migliore da utilizzare: minacce, sensi di colpa, indifferenza persino la violenza fisica ma il piccolo sembrava non avere punti deboli. Ma proprio in quel momento, a diversi giorni di distanza dal primo episodio, il petto cominciò a vibrare di nuovo: scossa, pizzicore, il cuore che salta un battito e tanta paura.
La vacanza era quasi finita, appena tornato a casa sarebbe andato dal dottore. Seduto sul bagnasciuga con la mano sul petto a sudare freddo pensava che lo avrebbe sicuramente fatto se solo fosse sopravvissuto fino al ritorno a casa. 
Lo studio del medico era uguale a tanti altri, una piccola sala d’attesa, divani, tavolino, riviste. Aveva deciso di andare privatamente per non aspettare troppo, niente pronto soccorso, gli metteva ansia. E poi non era nulla, ne era certo. Forse un po’ d’ansia, aveva letto su internet. Il medico era anziano e rassicurante, capelli bianchi e occhiali dalla montatura dorata. Era il medico di un collega, glielo aveva consigliato.
L’elettrocardiogramma disegnava con il suo tratto nervoso, il dottore leggeva corrucciando lo sguardo, D. aspettava trattenendo il fiato. Non è nulla, direi, certo possiamo sempre fare altri esami più approfonditi per sicurezza, dopo glieli prescrivo, ma direi che è tutto nella norma, quel pizzicore è solo il peacemaker.
Pacemaker? Quale pacemaker?
Il dottore era in imbarazzo, cominciò a tossicchiare. Cominciava a non capire bene in che situazione si trovasse. Io non ho nessun pacemaker! Protesto D. 
Non capisco come possa dire una cosa del genere guardi la cicatrice, magari ce l’ha fin da bambino? Sarebbe un po’ anomalo tuttavia… guardi facciamo un po’ di esami, che ne dice?

D era fuori di sé, quel medico era pazzo. L’avrebbe detto al collega, forse era il caso di cambiare cardiologo pure per lui. O almeno che non lo consigliasse in giro, che diamine! Quella cicatrice era altro, non ricordava cosa, non ricordava come se la fosse fatta, ma per Dio, non si era mai fatto mettere un peacemaker. 
Era proprio il caso di andare in ospedale.
Aveva un pacemaker. In ospedale glielo confermarono, aveva tenuto la lastra in mano per svariati minuti. Non sapeva da dove arrivasse. La cicatrice era appena visibile, roba vecchia, era strano che la batteria sia durata così a lungo. Cosi dicevano i medici. Lo guardavano con un po’ di circospezione. D. non sapeva cosa pensare, si sentiva il cervello paralizzato. Non sapeva se prendere la cosa seriamente. Sperava saltasse fuori la moglie o qualche amico a dire “scherzetto”.
Le pile erano da sostituire, nulla di che un normale intervento di routine, gli fissarono un appuntamento.
D. era frastornato, non sapeva neanche se raccontarlo, cosa avrebbe detto alla moglie? Pensa ho un peacemaker, chi lo sapeva. Vagò per la città per diverse ore. Pensò di chiamare il suo medico di base, sondare il terreno, vedere se a lui risulta qualcosa. Sarebbe imbarazzante certo, ma doveva capire. Peccato che non ricordasse chi fosse il suo medico di base.
I genitori erano morti anni fa, e non aveva rapporti con familiari lontani o vicini.
A casa raccontò la cosa alla moglie, erano sposati da 10 anni. Anche lei lo ha sempre creduto sano, quella cicatrice sul petto l’aveva sempre avuta. Lui le parlò di un incidente all’epoca. Lui non ne ricordava nulla. Né del presunto incidente, né di averne mai parlato.
L’immagine del pezzo di metallo cosi lucido e levigato, così squadrato e pensato, che stimolava la sua carne flaccida e rugosa lo tormentava.
Una qualche divinità gli aveva forse impiantato quel dispositivo per tenerlo in vita? Il suo corpo fatto di carne e fluidi non era in grado di sopravvivere da solo, il progetto era fallimentare, un intervento era stato necessario. Chi lo aveva fatto? Perché lui non ne ricordava nulla? Si sentiva violato.
Passò diverse notti a scartabellare tra tutti i suoi documenti in cerca di una traccia, qualche vecchia ricetta o fattura, ma nulla. Non aveva molto in realtà, lo scatolone in soffitta conteneva solo qualche documento recente e del tutto estraneo alla faccenda: tasse, la fattura della macchina, niente che riguardi la salute.
Dopo le ricerche passava il resto della notte nel letto a ricordare la sua vita. Dell'infanzia aveva pochi e vaghi ricordi, lui figlio unico con i suoi genitori, nulla di fuori posto, le domeniche in chiesa, le giornate a scuola, le estati al mare. Un flusso unico e monotono fino alla fine dell’adolescenza, quando poi la mamma si ammalò e nel giro di qualche mese morì.
Il padre seguì un anno dopo. Non ricordava molto del periodo successivo, aveva finito gli studi, ma poi cos’altro? Dolore, perdita, solitudine, vaghe sensazioni, ma nello specifico?

Smise di andare al lavoro, chiese un periodo di aspettativa che gli fu concesso senza grossi problemi. Non aveva la forza di fare niente. La moglie non diceva nulla, i figli non se ne accorgevano del cambiamento.

il controllo continua...

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