caro babbo natale parte 1

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Era il 25 dicembre, il giorno di Natale.
Quel giorno mia madre voleva andare in chiesa a tutti i costi, non ho mai capito il perché.
Le altre domeniche non andava mai.
Andava solo a Natale, Pasqua, matrimoni e funerali.
Non l’ho mai vista pregare.
A volte la sentivo dire “se Dio vuole”, ma nulla di più.
Ricordo che, quando ero piccolo, comprava sempre i lumini per il mese dei morti. Novembre.
A me i lumini piacevano, erano di quelli con la fiammella in plastica, fondamentalmente erano delle lampadine a pile a forma di lumino che pagavi il doppio di quel che valevano.
Comunque, quel giorno era il giorno di Natale.
Mia madre mi aveva fatto indossare i vestiti buoni.
Una camicia bianca, di quelle con i bottoni agli angoli del colletto.
Una cravatta blu, di quelle da bambino, con il nodo finto, ma con la zip.
Un gilet di lana, anche quello blu, ma con dei rombi sul bordeaux.
I pantaloni erano color cachi.
Le scarpe erano classiche e nere.
I calzini erano con le renne di Babbo Natale, come la canottiera e le mutandine.
Ero contento di indossare il completo intimo delle renne di Babbo Natale. Lo desideravo da giorni. Ma mia madre mi aveva impedito di metterlo prima. Diceva che lo avrei messo per il giorno di Natale.
La mattina mi ero svegliato contento, forse come tutti i bambini che sanno che troveranno il regalo lasciato da Babbo Natale.
Io non ero solito lasciare il latte e i biscotti la notte del 24.
Gli altri bambini lo facevano. Io no.
La mattina trovai un cesto di vimini sul tavolo della sala da pranzo. Mia madre appena sentì i miei passi fece capolino dalla cucina e mi disse che aveva trovato quel cesto lì, sul tavolo, e che forse era il regalo di Babbo Natale.
Quel che avevo chiesto io quell’anno di sicuro non sarebbe stato dentro un cesto.
Avevo chiesto qualcosa di immateriale.
Avevo chiesto qualcosa, che per i miei amici era normale, ma per me no.
Avevo chiesto di…
Avevo chiesto una vita serena, per me e mia madre.
Nel cesto non trovai una vita migliore per me e mia madre. Trovai una lattina di Coca Cola, una di Fanta, una SevenUp, delle caramelle gommose, dei Babbo Natale e delle monete di cioccolato e tanti ricci di quelli che si usano per far volume nelle confezioni regalo.
Dopo la colazione (la mia, loro l’avevano già fatta), mia madre aveva già cambiato umore.
Ero solito ai suoi sbalzi di umore così repentini.
Anche se ero piccolo ero già capace di intuire quando c’era qualcosa che non andava. Il suo volto mi parlava più di quanto non facesse lei.
Le guance acquisivano un colorito più intenso, anche il naso.
Le labbra diventavano sottili, quasi sparivano.
Gli occhi erano lucidi, ma freddi.
I muscoli dell’intero volto erano contratti.
Lei non se ne rendeva conto. Io sì.
Comunque, quel giorno mia madre voleva andare a messa a tutti i costi, anche se ormai il suo umore non era più quello di un buon cristiano.


caro babbo natale continua...

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