odd finale

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Si girò a controllare se Dan se ne fosse accorto, ma sentiva già il peso che era piombato sul cuore del suo amico, e sapeva che lui lo avrebbe interpretato come un segno. Dan era lì, seduto sullo sgabello, gambe penzoloni, spalle basse e sguardo rivolto in quel punto del pavimento neanche ci fosse un fascio di luce di un riflettore che puntava proprio lì.
Dan aveva anche dimenticato di averlo messo in quel barattolo.
Tessa rimase per un po’ con il barattolo di latta preso a Praga in mano, l’anta della credenza aperta e, nella stessa possa che aveva, leggermente inclinata e lo sguardo fisso a terra sul quel braccialetto tutto distrutto, che, anche lei, non vedeva più da tempo. Fu un po’ come se il tempo si fermasse, i rumori esterni non le arrivavano più, come se fossero stati chiusi fuori, né un clacson, né una frenata repentina, nulla che facesse pensare che in quel momento oltre a lei, Dan e quel bracciale caduto a terra, esistesse altro al mondo.
In un secondo era stata teletrasportata in un altro anno, in un’altra fase della sua vita, della vita di Dan, con odori differenti, con suoni diversi e con sogni completamente differenti, in un’altra Tessa, con un altro Dan. Avvertì quel bisogno fisiologico di sbattere le palpebre, è quel frame nero la risvegliò dall’incanto in cui era finta, sospirò profondamente e silenziosamente espirò tutta l’aria che aveva immagazzinato nei polmoni. Posò il barattolo di latta sul tavolo, si accucciò a terra per raccogliere il bracciale, come se fosse un cucciolo di animale ferito bisognoso di tutte le attenzioni di questo mondo.
Nel momento in cui Tessa toccò il braccialetto fu il turno di Dan di tornare nel mondo reale, si alzò e fece alcuni passi verso di lei. Tessa gli passò il braccialetto. Dan lo prese in mano, lo portò vicino al suo viso, lo annusò, gli odori non erano rimasti impregnati in quei fili tanto quanto lo erano nei suoi ricordi. Ne rimase un po’ deluso. Si guardò intorno, con lo sguardo cercava un altro contenitore dove poter mettere quel piccolo reperto, così poco prezioso, ma così importante. Vide una scatoletta di latta, di quelle con le liquirizie dentro, l’aprì, ce n’erano giusto un paio, rovesciò le caramelle sul tavolo e ripose ciò che restava di quel braccialetto, fatto di fili colorati nella scatoletta la chiuse.
Poi si alzò, andò verso la scrivania, cercò nei cassetti fino a quando trovo un blocchetto di post-it e una penna, li porse all’amica e le disse - Adesso che lo hai quasi detto puoi anche scriverlo, scrivilo, scrivi che Jacob è morto.
Tassa, sapeva che le stranezze di Dan a volte venivano dalle stramberie del suo strizzacervelli, e sapeva anche che queste stranezze lo avevano aiutato molto, decise quindi di prendere in mano la penna…
Mentre Tessa impugnava la penna e fissava un post-it vuoto Dan andò in camera a nascondere il prezioso ritrovamento nel cassetto del comodino, prima di spingere all’indietro il cassetto fissò la scatola di liquirizie per un po’, come per un ennesimo addio, un saluto che sarebbe durato fino al prossimo incontro casuale che gli avrebbe fatto starnutire di nuovo il cuore.
Quando Dan tornò in cucina vide Tessa seduta allo sgabello, il braccio sinistro steso giù e mantenuto da quello destro, le guance rigate dalle lacrime che non erano mai riuscite a piangere il suo amico, il petto che si gonfiava al ritmo dei singhiozzi dovuti al pianto.
Dan si avvicinò in silenzio verso l’amica, si sedette accanto a lei e mentre posava la sua testa sulla spalla di lei lo sguardo gli cadde sul post-it che prima aveva posato sul tavolo, ora c’era scritto “Jacob è morto, un tumore del cazzo che ce lo ha portato via in tre mesi vaffaculo”. Passò così circa un’ora, un’ora di silenzio, in cui Tessa sfogava il dolore di dieci anni e Dan consolava l’amica per i dieci anni di lutto, fino a quando Tessa disse - Dan, Jacob è morto.
Dan baciò dolcemente la fronte dell’amica e la abbracciò.

- Hai visto il match ieri sera?
- È per sembrare intelligenti e acculturati
- Ci vediamo dopo
- 6,23 $
Cercava di sbirciare l’interazione degli altri avventori le era sempre piaciuto guardare le dinamiche relazionali dall’esterno. Forse era un modo per studiare, per analizzare, per capire quei rapporti sociali che si instaurano tra persone. Aveva letto molti libri di psicologia sociale, aveva appreso che il gruppo solitamente viene identificato come un insieme di persone che interagiscono tra loro, che cooperano, competono, e che il più delle volte si creano spontaneamente. Per lei nulla era mai stato così poco naturale. Aveva letto di uno studio, portato avanti da alcuni matematici, che avevano sviluppato un algoritmo al fine di orientare e prevedere le dinamiche sociali. Questo l’aveva sempre fatta sorridere, forse in modo un po’ sarcastico, ma ogni volta che si trovata in situazioni socialmente difficili da gestire, o almeno che lo erano per lei, decideva che ne avrebbe potuto svilupparne uno tutto suo e poi inviarlo ai matematici, così da prendere il suo algoritmo come modello di riferimento. Ma questo non sarebbe mai successo. Si era sempre sentita una nomade nel mondo, aveva sempre assunto il ruolo di osservatore esterno, ma quel giorno mentre prendeva con il cucchiaio la schiuma secca del cappuccino poggiata sul bordo della tazza, si sentì anche lei un po’ schiuma, anche lei aveva assunto una forma diversa dai suoi simili, si era allontanata da loro e si era seccata, si era inaridita. Guardò per un’ultima volta la schiuma secca del cappuccino, poi la girò, la schiuma secca si mescolò al resto. In quell’istante decise che era il momento di uscire dal ruolo di spettatore e indossare i panni del protagonista. Afferrò il telefono e scrisse a Dan “So cosa fare per Jacob. A cena da me questa sera ti racconterò”.

fine

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