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come l'oceano finale

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precedentemente in come l'oceano Era il 12 settembre 2005, Kiyoshi scese dall’autobus, la fermata era a pochi passi dalla sua destinazione. Il santuario era addobbato con candele e lanterne accese, c’era già una piccola folla che si era raccolta vicino all’ingresso, tra quelle persone Kiyoshi scorse i suoi genitori, erano l’uno accanto all’altra. In quell’istante Kiyoshi si rese conto di non aver mai visto i suoi genitori tenersi per mano, neanche quando erano ancora una famiglia. Con la sensazione di un macigno sul petto, Kiyoshi si avvicinò loro, avevano le facce stanche e spossate, erano stanchi di vivere, stanco l’uno dell’altra, questo li faceva sembrare più vecchi di quel che in realtà fossero. Erano decisamente invecchiati prima del tempo, anche se erano abbastanza vivi per esser morti dentro da anni. Quando Hiroko vide che il figlio si stava avvicinando lo salutò con un ciao sussurrato, quasi fosse capace di emettere ultrasuoni. Non aveva mai smesso di parlare

l'assegnazione finale

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precedentemente in l'assegnazione “Salve, come posso aiutarla!” disse in maniera quasi entusiastica, già capivo di piacergli. Non era proprio come me l’aspettavo; pochi capelli tagliati corti, occhi furbi ma privi di fascino anche se ogni tanto sembra passarvi qualche strano lampo, corporatura media. Insomma non una persona che colpiva a prima vista, anzi. Direi che l’aspetto era piuttosto dimenticabile. “salve, posso chiedere a lei?” chiesi io, a questo punto non so dire quanto ero io a decidere cosa dire e quanto fosse il nanobot a recitare il copione. “come no, mi dica tutto.” Rispose lui sempre affabilmente. “dovrei cambiare la batteria del mio impianto fonico” risposi con il tono più disinvolto possibile, intanto guardavo gli olo-depliant sul bancone. Quando alzai lo sguardo lo colsi che mi guardava la scollatura. Un brivido attraversò tutta la schiena. Con disinvoltura mi chiese: “bene, metta il polso qui sul lettore per vedere la marca ed il modello del

come l'oceano parte 5

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precedentemente in come l'oceano Kiyoshi   Kiyoshi aveva solo sei anni quando scelse di diventare adulto. Lo decise nel momento in cui vide sua madre seduta accanto al corpo della sua sorellina senza vita, anche se sembrava che stesse dormendo, solo che la pelle era un po’ più violacea. Si era sempre immaginato la morte più spaventosa, più plateale, non aveva visto nessuno shinigami, eppure sua sorella non era più viva. E adesso cosa sarebbe successo? Come funzionava, e lei dove sarebbe andata? Ci sarebbero dovuti andare anche loro con lei? L’avrebbero semplicemente accompagnata? Ci avrebbero pensato mamma e papà? Lui cosa avrebbe dovuto fare? Non c’era un modo per cambiare quel che era successo? Con chi avrebbe giocato? Con chi avrebbe litigato? Mentre si faceva tutte queste domande la sua attenzione cadde sul volto di sua madre. Era sempre stata una donna molto composta, capace di trattenere la rabbia di celare cosa sentiva, ma in quel corridoio freddo di ospedale s

l'assegnazione parte 1

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La convocazione mi arrivò esattamente venti soli prima. Non ne fui entusiasta fin dall’inizio. Mi arrivò mentre ero al lavoro, il Centro gestionale mi convocava per un’assegnazione, poteva essere qualsiasi cosa, ma nel mio cuore sapevo che c’entrava con lui. Quasi tutti sono felici di avere a che fare con lui e quando arriva l’assegnazione da parte del centro gestionale tutti sperano che si tratti di una parte importante. Almeno così dicono, tutti voglio mostrarsi devoti. Anche se alla fine il piano del centro gestionale è noto solo ai nostri governanti, tutte le parti che ci installano dentro e che ci chiamano a recitare, per noi non significano assolutamente nulla e solo per loro hanno senso, o almeno così ci piace pensare. Io sinceramente dubito che sappiano esattamente cosa stiano facendo. Credo che vadano a tentativi sperando di aver avuto ragione il giorno in cui lui ricorderà. Ricorderà di come ha creato ogni cosa. Non abbiamo mai avuto idea su come i Governanti abbiano

come l'oceano parte 4

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precedentemente in come l'oceano Hiroko Hiroko aveva stretto fortissimo la sua piccola nella corsa da casa all’ospedale. Dentro di lei era scattata un’assurda idea; se l’avesse stretta forte la sua Sakurochan sarebbe rimasta con lei e non se ne sarebbe andata per sempre. Il vortice della depressione la risucchiò il giorno stesso, nello stesso istante in cui gli shinigami le avevano portato via la sua bambina. Hiroko, dopo la morte di Sakuro, dedicava tutta la sua giornata a recitare preghiere al fine di incoraggiare lo spirito della figlia a distaccarsi e incamminarsi verso l'aldilà.   Investiva le poche energie che le erano rimaste nell’organizzazione di cerimonie commemorative, non voleva che il reikon, lo spirito di Sakurochan, rimanesse in eterno sulla terra, ma voleva che fosse contento del modo in cui era commemorato, così da consentirgli di riunirsi agli antenati nell'aldilà. Inoltre, credeva che se le cerimonie si sarebbero svolte nel modo appropria

io sono il Sokomonnos

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C’era una volta un vignettista satirico di nome Puccio Pucci. Puccio Pucci era molto famoso e molto spiritoso, il suo spirito libero e senza compromessi sfornava vignette feroci e sferzanti. Pucci non risparmiava nessuno, in base al suo umore e gradimento sceglieva un obbiettivo della sua satira e ci dava dentro a più non posso, nulla era intoccabile nulla era sacro, ma davvero nulla! Un giorno Puccio Pucci decise che avrebbe satirizzato sugli handicappati.  Sì, sì aveva già in mente un sacco di gag su quegli sfigati! Sarebbe stato un numero fantastico! E chissà le vendite! Sarebbero schizzate in alto! E così fu. Il numero 127 di “Vignettica” che comprendeva una decina di vignette di Pucci sui disabili fece un sacco di scalpore, generò un sacco di polemiche e un sacco di vendite. Chiaramente la categoria dei disabili non ne fu contenta. La lega spastici tentò di protestare ma nessuno ebbe la pazienza di sentire cosa volevano dire (sapete com'è, sono un po’ lenti a parlar

come l'oceano parte 3

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precedentemente in come l'oceano Amane Amane non era mai stato un uomo capace di esprimere i propri sentimenti, né con una carezza né tantomeno con le parole, o con un semplice sguardo. Allo stesso tempo, era uno di quegli uomini orgogliosi, sarebbe stato pronto a impugnare la katana e tagliare via l’eventuale pericolo. Non aveva messo su famiglia per amore, ma per dovere, doveva portare avanti il nome di famiglia e rendere orgogliosi gli antenati. Non aveva mai amato profondamente la sua Hiroko, non si era mai perso nei suoi occhi, ubriacato del suo sapore, o inebriato del suo profumo. L’aveva scelta solo perché la riteneva capace di compiere i suoi doveri, di essere moglie e madre, di essere abbastanza forte da non aver bisogno di dimostrazioni di affetto, o di un uomo che si ricordasse anniversari e date. Sapeva che anche per lei sarebbe bastata una convivenza complice, serena e senza troppe pretese. Su questo si trovarono e fu il segreto che gli permise di viv