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come l'oceano parte 1

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Penso ci siano momenti in cui devi trasformare i sentimenti in parole perché vengano capiti.  (Hiromu Arakawa)  Kiyoshi Era il 12 settembre 2005, era un lunedì, e come la maggior parte dei lunedì non era né facile né felice. Quella mattina Kiyoshi si era svegliato con un pensiero, non del tutto sconosciuto, in testa. In parte lo conosceva, aveva imparato a convivere con quel pizzicore tra i pensieri. Nonostante il peso di questo tarlo spostò le coperte, si sedette sul letto, cercò con i piedi le pantofole, senza trovarle si alzò e si diresse verso il bagno a piedi nudi. Quella mattina lo infastidiva anche il suo stesso riflesso. Non che fosse più brutto del solito, ma quel giorno non riusciva proprio a guardarsi dentro. Quel giorno il riflesso non gli restituiva la sua immagine esterna, ma quella più nascosta, riusciva a scorgere, in quegli occhi riflessi, la sua paura, i sensi di colpa, il dolore. Solo a guardarsi si sentiva, si vedeva, come un impotente che dal

la fuga di mirek parte 2

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precedentemente in la fuga di mirek Mirek non era mai stato facoltoso, un visto per l’estero non se lo sarebbe mai potuto permettere. Il suo amico d’infanzia Hans, che si preparava ad emigrare in Libano con la moglie, gli aveva offerto un aiuto economico per potersi trasferire pure lui, ma Mirek era un tipo orgoglioso ed aveva sempre rifiutato. In realtà non aveva mai deciso cosa avrebbe fatto. Sicuramente non voleva farsi ammazzare dallo stato, tutto sommato a livello di salute era ancora messo bene. In cuor suo era sempre stato fiducioso che la Federazione avrebbe cancellato quella barbarica legge prima che fosse toccato a lui. Come poteva la gente tollerare un genocidio del genere? Come potevano i familiari accettare di buon cuore di vedere i propri genitore uccisi solo perché vecchi? Purtroppo i fatti non diedero ragione a Mirek. Gli effetti positivi che la legge ebbe sull’economia europea fecero chiudere un occhio a tutti. La coscienza veniva messa a tacere dal portafogli

quando esplode un pomodoro

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-Come stai? -Non so, non riesco a capirlo -Ma come non riesci a capirlo? Hai qualche problema? -No, non penso... -È successo qualcosa? -Non mi sembra -E allora cos’hai? -Nulla, è solo che a volte penso, e forse… sai, forse penso troppo -E allora non pensare -Ma come faccio? Non riesco mica a fermarlo, è una cosa che va da sola -E allora dimmi, a cosa stai pensando? -Penso che tutti abbiamo paura di qualcosa, non ci sono donne o uomini senza paura. -Dici? -Sì, dico! Tu non credi? -Non so, molti, almeno all’apparenza, sembrano non aver paura di nulla -Secondo me loro o sono incoscienti o mentono -E perché dovrebbero mentire? -Semplice, perché avere paura fa paura. Tu non hai paura di nulla? -Di cosa dovrei aver paura? Che mi succeda qualcosa di brutto? Che mi entrino i ladri in casa? -No, non di queste stupidaggini... Non hai paura di... di sentire? -Sentire? E cosa dovrei sentire? -Ah bo, paura di amare o di essere amato, paura di essere r

la fuga di mirek parte 1

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The river flows outside of town, away from dirt, away from crowds, and if I could follow it to the sea I'd wash the sweat right off of me. So break my legs and weigh me down, throw me in, but I won't drown, I'll float away, go down the stream. The river flows outside the city. Carthago est delenda, Million Dead Mirek Schleck scavalcò il dannato muro che lo separava dal mondo; sarebbe evaso oppure sarebbe morto nel tentativo. Ormai a quasi settant’anni non poteva certo riprovarci, il suo fisico non gliel’avrebbe permesso e soprattutto la polizia pensionaria non gliel’avrebbe permesso. Ormai il suo tempo era quasi scaduto. Era stato trasferito al Centro Ultimo Saluto, situato in una piccola località della costa adriatica italiana, una settimana prima e ormai mancavano solo due giorni al suo compleanno. Due giorni dopo gli avrebbero somministrato la dose letale che avrebbe posto fine alla sua vita. Questa era la prassi ormai da circa sette a

caro babbo natale finale

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precedentemente in caro babbo natale Quando riaprii gli occhi la volta successiva ero in un letto di ospedale, la stanza era addobbata a tema natalizio, sulle pareti c’erano disegnati Topolino, Pluto e altri personaggi Disney, sui vetri della finestra c’erano dei fiocchi di neve, quelli fatti con lo spray. Accanto a me c’era una signora, aveva l’aria un po’ preoccupata, era seduta alla destra del mio letto. Aspettava che mi svegliassi. Quando vide che ero sveglio mi chiese come stavo, io non le risposi. Mia madre mi aveva sempre detto di non parlare con gli sconosciuti. La signora però insisteva. Rimase al mio fianco anche per il pranzo, per il mio pranzo di Natale in un letto di un ospedale pediatrico. A pranzo non mangiai molto, provò a corrompermi con della cioccolata. Aveva uno sguardo che mi faceva quasi pena, alla fine le proposi un accordo. Io avrei mangiato se lei mi avesse detto dove era mia madre. Quel giorno di Natale fu l’ultimo giorno che vidi mia madre, ch

oltretomba finale

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precedentemente in oltretomba Arrivati alla roulotte di Jill, i due la salutarono. Jill stava ancora pensando a tutti gli interventi della regia nel corso delle riprese. Dopo aver salito il primo gradino si voltò verso i due che si allontanavano. <Karl, anche la vecchia invalida l’avevate mandata voi vero?> <Vecchia invalida? Non mi sembra, ma magari non ero di turno, sai per seguirvi tutti e tre ventiquattro ore facciamo a turni, quindi non so.> <Grazie Karl.> <Riposati Jill, sei una grande!> La prima cosa che fece era guardarsi allo specchio. Come diavolo si era conciata. I capelli unti, gli occhi infossati, la faccia sporca, la pelle rovinata. Quanto tempo era passato? Doveva chiedere a qualcuno. A lei era sembrata una vita intera. Nell’armadio che conteneva i suoi vestiti trovò anche il cellulare. Lo accese e fioccarono i messaggi. Dalle date dei messaggi capì che erano passate solo un paio di settimane. Mentre teneva in mano il telefono notò le

caro babbo natale parte 2

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precedentemente in caro babbo natale Aveva già imprecato diverse volte. Aveva maledetto alcuni dei personaggi cari ai cristiani. Non so se Gesù avrebbe voluto averla a casa sua dopo quel che mia madre aveva detto. Avrei voluto che Gesù le avesse detto che era contento del pensiero, ma che avrebbe preferito che lei, mia madre, fosse tra gli assenti al suo compleanno. Non lo ha fatto. Gesù non ha detto né a me, né a mia madre di non andare da lui. Di corsa, era già tardi, siamo saliti in macchina. Era freddo. In quei giorni c’era la neve ed era sempre freddo, quando uscivamo mia madre apriva il cancello, io aspettavo che tornasse alla macchina per salire insieme a lei, e nel frattempo che mia madre apriva il cancello io facevo finta di fumare. Ovviamente non fumavo davvero, era il freddo che faceva uscire una nuvoletta di vapore dalla mia bocca. Io mi sentivo grande in quei momenti. Ma quel giorno era tardi per giocare, e dovevo essere grande davvero, non potevo giocar